17 ottobre 2011

AbeceDIARIO africano: lettera S che occupa molto Spazio

16 ottobre

S come STRADA

Ancora una volta la strada ci porta a Mgongo, stavolta per la messa domenicale. La comunità si raduna nei posti consueti all'interno della chiesa costruita come un esagono irregolare con due lati più lunghi che formano una punta a indicare e contenere l'altare. Il coro delle donne è subito pronto a sostenere quella che mi è sembrata la vera differenza fra qui e la mia esperienza italiana: la partecipazione col canto e col ballo, una partecipazione fisica che rende la liturgia una vera festa. Io stesso che non capivo nulla di quello che si diceva mi sentivo parte di una vera celebrazione collettiva. Finalmente ho conosciuto Padre Franco dei Missionari della Consolata: da quarant'anni vive la sua vocazione fra i poveri del mondo e la scuola professionale con annessi laboratorio che ha messo in piedi qui è un importante punto di riferimento per la formazione di tanti giovani. Alcuni di loro sono qui, li avevo già incontrati alla festa di fine corso per le assistenti: occupano i posti in fondo a sinistra. I bambini del villaggio con cui ieri ho fatto quattro risate guardando una assurda telenovela tanzaniana (con sottotitoli in inglese) sono nella zona centrale.

I chierichetti hanno tuniche coloratissime mentre sei bambine in bianco e giallo attorno all'altare accompagnano ogni canto con balli specifici, diversi da quelli del coro che balla per tenere il ritmo del canto. Fedele al mio ruolo di “mzungu curioso” ho registrato tutti i canti senza farmi vedere (grazie al mio piccolo registratore portatile di cui ho già parlato) e ho registrato anche Ageni che, con bella cadenza, legge la lettera di Paolo. Non penso che tutte queste registrazioni (solo oggi ne ho fatte 63) potranno avere qualche esito pratico...mi accontento, al solito, di tenere traccia di questa esperienza: foto, video, suoni e pagine scritte (queste).


Al pomeriggio ancora strada, ancora verso Mgongo e poi oltre quando l'asfalto lascia spazio allo sterrato e trasforma la nostra auto in un distributore di polvere.

Prima meta la casa dell'altra nonna di Ageni in un villaggio apparentemente disperso fra chilometri di terra rossa, pietre e alberi secchi nell'incredibile altopiano della regione di Iringa. In distanza da ogni parte si vedono montagne di un'altezza interessante, considerando che tutta la zona pianeggiante si trova già al di sopra dei 1.600 metri.

Scherzando fantastichiamo fra di noi ipotizzando di aprire un rifugio su una delle cime più rocciose: sentieri da trekking attrezzati e pernottamento (ovviamente a costi altissimi) per attirare qualche bianco danaroso in cerca di emozioni esotiche: menù fisso “Mpala na Ugali” (il corrispettivo di capriolo con polenta). Affidiamo l'idea a chi la vuole sposare: prima di imbarcarsi in simili avventure, però, si consiglia una visita in loco, persino Anna di Forlì, giovane scout con grandi capacità di adattamento che ci sta dando una mano in questi giorni con la sua competenza in campo educativo, alla fine non sembrava molto convinta.

Lungo la strada si intravvedono anche le case da cui provengono Viky e Mage... è incredibile quest'ultima che ogni giorno smentisce la diagnosi che l'avevano bollata come totalmente incapace: oggi ha riconosciuto la sua casa d'origine in distanza.


Lasciata Ageni dalla nonna e dai sui parenti (su cui vari gradi non mi addentro dato che tutte le zie sono mamme e tutti i cugini sono fratelli o qualcosa di simile) ci allontaniamo di qualche chilometro verso Isimani dove incontriamo un'altra esperienza di cooperazione internazionale: “Casa Nostra” (Nyumba Yetu): un vero e proprio villaggio dei bambini con dieci casette colorate e ben tenute in cui trovano ospitalità giovanissimi orfani e sieropositivi. La pulizia e la cura dell'ambiente saltano agli occhi e generano un po' di stupore: è l'unico caso che conosco di struttura di accoglienza con la coda al cancello per entrare e non per uscire.

L'idea è quella di proporre il meglio creando un esempio che possa fungere da traino anche per altri, e comunque si trova espressa meglio sul sito di riferimento

Confesso la mia piccola delusione quando, al solito, ho chiesto ai quaranta bambini del centro di cantare una canzone che poi la registravo col mio infernale MP3 e loro si sono esibiti in una canzoncina italiana evidente frutto dei vari gruppi che si succedono per campi di lavoro al Centro.

Incredibile l'incontro con Luciana, volontaria di Portomaggiore (a 20 km da casa mia a Ferrara e poco lontana anche dalla “Casa con le Ali” in Tanzania) anche se attraverso un'associazione di Faenza (qui il sito)


A proposito di canzoni oggi a Isimani c'era una chitarra con tutte le corde e accordata: ho finito col cantare il Blues del fungo velenoso che, qui in Africa, assume una nuova connotazione semantica (!).


Da bravo ferrarese in trasferta non potevo non avere nel mio bagaglio musicale qualcosa di Andrea Poltronieri. La scelta è caduta sul brano storico “Gino lavora al Famila”...nella casa e nella macchina sta rapidamente scalando la hit parade, e si appresta ad entrare nei circuiti radiofonici.

Personalmente lascerei intatto il testo e cambierei solamente i “radic” che qui non sono molto noti e andrebbero sostituiti dalle “mcicia” la verdura più diffusa.

S come SANA

Sana in kiswahili significa “molto – tanto”, unito alle parole serve a rafforzarne il valore...”Asante sana” : “molte grazie, grazie tanto”.

Molto, tanto è quello che sto ricevendo da questa esperienza che quindi è “sana” in due lingue.

1 commento:

mama twiga ha detto...

stupore
sororale :
scrivi
squisitamente
storie
senza
spargere
sentimentalismi