26 dicembre 2016

Nota del 26 dicembre: tra eccezionalità ed eccezioni

A Santo Stefano in sette degli ospiti attuali della Nyumba Ali sono andati a fare il safari di un giorno al Ruaha Park: partenza alle 5,30 col gippone della guida. I magnifici 7 erano 5 della mia famiglia più Giancarlo e Maria Pia i genitori di Paola (di lei dirò qualcosa dopo).
Io non sono andato, un po' perché sono stato già due volte nel Parco e un po' per godermi la casa più vuota del solito (il Centro riapre il 2 gennaio).
Con me (anzi: io con loro) a presidiare la casa c’erano tre ragazze: soprattutto i bisogni igienico fisici di Viky richiedono una cura che, secondo la cultura locale, può essere garantita esclusivamente da donne.
So che sarebbero i famosi “stereotipi culturali” e che dovrebbe esistere l’intercambiabilità completa fra maschi e femmine: lo so bene al punto che una parte della mia attività lavorativa come Assistente di Base  è stata proprio dedicata a cure igieniche rivolte indistintamente a maschi e femmine. Ho sperimentato l’imbarazzo insieme alla consapevolezza che è la qualità che conta; ho toccato con mano, però, che è fondamentale il rispetto per la persona che devi accudire che ha tutto il diritto di pretendere un trattamento consono alla sua sensibilità.
Tuttora sono in grado di cambiare pannoloni o di lavare persone incontinenti e lo farei anche con la Viky, ma qui non è proprio possibile e se capita, e si viene visti, possono sorgere dei problemi di “onorabilità” che interferirebbero pesantemente con l’attività del Centro stesso.
Offro questo tema a chi ha voglia di approfondirlo, cercando una strada per superarlo senza strappi, imposizioni culturali e, soprattutto, nel rispetto della storia di chi si ha di fronte che, di base, dovrebbe essere il punto di partenza di ogni cambiamento che si chiami sviluppo invece di colonizzazione.
Comunque sia, Irene, Chiara e Paola erano le padrone di casa: affettuose e decise, attente e creative.
Scrivo di loro nate in sequenza nel 1991,92 e 93 per affermare che non vorrei più sentire generalizzazioni in negativo sui giovani italiani. La loro capacità di prendersi impegni e di portarli a termine non ha nulla di eccezionale: per questo ho deciso di scrivere un po’ di loro senza imbarazzo, come dimostrazione di una normalità più diffusa di quello che la manipolazione della comunicazione vorrebbe farci credere.
Due sono di Ferrara, una vive a Caronno Varesino e sono (con altre giovani come loro) il fulcro su cui la Nyumba Ali ha potuto sopravvivere (crescendo) all’assenza prolungata di Bruna e Lucio. Irene resterà qui con me fino al 13 gennaio: dopo aver fatto un periodo intenso quest’estate si muove con dimestichezza nelle attività quotidiane; Chiara è qui dal 19 agosto e sta dimostrando una tenacia e una disponibilità che la rendono un punto fermo, Paola è tornata in autunno dopo essere stata qui per buona parte del 2016 ed è un pilastro saldo da tanti punti di vista (compresa la guida del Dala Dala)
Con loro Andrea può dare un senso decisamente interessante e vario sul piano collaborativo al ruolo di responsabile della Nyumba Ali.
Sono stato contento nel vederle uscire tutte e tre nel pomeriggio per un po’ di meritato svago secondo lo stile della loro età: io, Mage e Viky (per fortuna non ha avuto particolari bisogni) ci siamo “badati” a vicenda.
Ho messo la funzione “Random” (citazione da  “La Maggiorana Silenziosa” ?) nel mio cellulare.
La musica andava e mentre scrivevo la “nota” del giorno di Natale, Mage disegnava e camminava un po’ e Viky si esibiva nel suo repertorio di suoni gutturali.
Nel passaggio da Mozart ai Talking Heads l’ho sentita quasi infastidita, mentre è sembrata condividere la canzone preferita di Mage “The Only Exception” dei Paramore. Già nel 2012 cantavamo insieme il ritornello con la nota che scende invece di salire: quattro anni dopo Mage  la ricorda ancora perfettamente.
Anche questo smentisce qualche luogo comune sui disabili in uno straordinario intreccio fra eccezioni ed eccezionalità.

La foto di oggi: la bellissima pianta di Ibisco rosso nel cortile della Nyumba Ali: normale ed eccezionale insieme.



25 dicembre, nota di Natale: accogliere più che capire.

Scrivo del Natale un giorno dopo, qui sotto il portico della Nyumba Ali, solo insieme a Viky e Mage.
Mi godo la quieta presenza del mondo attorno a me tra uccellini azzurri, farfalle bianche, Viky che narra il suo mondo interiore trapanando suoni fra le fessure dei denti mancanti e Mage che mi guarda in attesa di una mia parola o gesto che la faccia esclamare “Kaka Patrizio rafiki yangu!”.
Una nipote ed un’amica, un senso che va accolto più che capito.
Natale è questo, anche qui: accogliere più che capire.
Giornate di svolta, di abbandono, di gratitudine, di consapevolezza che la forza della vita vale più della vita della forza.
Insieme al canto degli uccelli arriva quello del Muezzin dall’altro lato della strada che scorre sotto la collina di Wilolesi dove sorge la Nyumba Ali: fra un po’ anche le varie chiese evangeliche cominceranno a fare musica ad alto volume.
Invochiamo quel Dio che aspetta solo di incontrarci con un abbraccio riparatore, un Dio che va accolto più che capito. Buon Natale.


Anche le foto di oggi vanno accolte più che capite:

 Viky



e Mage

25 dicembre 2016

Nota e note della vigilia: 24 dicembre fra Iringa e Mgongo

La vigilia di Natale è stata una giornata intensa per emozioni accompagnate da musica e movimenti.
Alla mattina la festa coi bambini e i genitori della Nyumba Ali mi ha fatto toccar con mano i progressi degli ultimi anni verso un maggior coinvolgimento delle Dade e dei genitori nella gestione del Centro Diurno. Oltre a ciò ho colto qualche frutto interessante dal punto di vista culturale, soprattutto  la presenza di due padri in mezzo a tante mamme. Si tratta di un fatto per niente e scontato in una società che delega alle madri e/o alle nonne i ruoli di cura e di educazione dei più piccoli (a maggior ragione nel caso della disabilità di cui è ritenuta responsabile la donna che, sola, ne paga il prezzo).
Davanti a un numeroso pubblico Pio ha scritto con la tastiera adattata gli auguri di Natale: proiettati sul muro tutti vedevano la fatica di digitare le lettere giuste, la pazienza di correggere gli errori e la.soddisfazione del risultato finale.
A seguire il discorso di Zawadi composto da una parte istituzionale letta e consegnata ai presenti e da una “a braccio” (un modo di dire involontariamente ironico per un tetraplegico...ma con Zawadi posso anche scherzare sulla sua disabilità) molto sentita e coinvolgente. A seguire alcuni interventi dei genitori presenti: un po’ di maniera ma con accenti di sincerità fino ad arrivare alle lacrime.
È iniziata poi la parte musicale con l’intervento di noi “wazungu”. La sera prima ci eravamo preparati con una canzone che avevo scritto per una festa al Nido di uno dei miei figli. Ricordavo solo la musica e la prima strofa: insieme abbiamo completato tre strofe in italiano e poi le abbiamo  riadattate in Swahili: un canto semplice con qualche gesto da fare insieme per una festa in cui non ci sono barriere di razza e di cultura (non è forse questo uno dei significati più profondi del Natale?). Il valzer semplice di “E’ Natale per tutti i bambini”, che diventa “Karibu Noeli Watoto Wote”,  è sfociato poi in “Tu scendi dalle stelle” che le persone acculturate come me cercano di eseguire col rispetto che si deve ad un canto composto da Sant’Alfonso Maria de’Liguori nel 1754.
La macedonia di culture è poi sfociata nei canti delle Dade, nei balli partecipati da tutti e, apoteosi finale, nella distribuzione del cibo preparato sul momento: “riso pilau” con carne e verdure. Non c’è molta differenza con le feste che si facevano alcuni anni fa nelle nostre scuole d’infanzia: l’elemento dirompente è la voglia di questa gente di ballare volentieri insieme: abili, disabili, bianchi, genitori, figli, insegnanti...e anche io. Siccome il riso era, come prevedibile, indietro nella cottura, questo periodo di ballo libero collettivo è durato una mezz’ora abbondante  che ha reso ancora più appetibile il cibo (davvero ottimo).


Alla sera (alle 20 ora locale: le 18 italiane) siamo andati all Messa della Notte di Natale nella Chiesa di Mgongo (di cui ho già parlato qui  http://pieffe.blogspot.com/2011/10/abecediario-africano-lettera-sche.html).
Inizio al buio. come può essere buia una notte africana illuminata solo da due candele. Dopo la benedizione di tutti i fedeli che ha seguito l’atto penitenziale si è accesa la luce e sono esplosi i canti, le preghiere, le letture. Tutta la liturgia è stata in Swahili, anche il sacerdote è del posto: a fine Messa Padre Franco ha preso il microfono per salutare e fare gli auguri  agli italiani presenti in Chiesa (oltre a noi - che con Viky e Mage siamo comunque in tredici - un altro bel gruppo delle case famiglia  della Giovanni XXIII). Ci ha detto di salutare Bruna e Lucio augurandosi di rivederli presto.


Non ho foto da mostrare: in chiesa ho registrato tutti i canti stando seduto dietro al coro. Alla fine ho girato un piccolo video sul canto che i ragazzi “urlavano” facendo il gesto della tromba che vibra. Vorrei testimoniare la partecipazione totale ad un canto evidentemente costruito su “Gloria in Excelsis Deo” raddoppiato nella durata della discesa per concludersi con un “Osanna in Excelsis”. Chiedo scusa se la mano non è ferma e ad un certo punto si sente anche la mia voce. invecchiando faccio più fatica a controllarmi ed ero di fianco al bravissimo ragazzo che suonava il tamburo.
Eccolo qui, dura due minuti.

L'albero di Natale  della Nyumba Ali, coi pacchetti dei regali in attesa di essere aperti.


24 dicembre 2016

Nota del 23 dicembre 2016: una data storica per la Nyumba Ali.

A volte succede che il risultato positivo del proprio lavoro sia quello di far nascere realtà che, crescendo, imparano a fare da sole e non richiedono più lo stesso tipo di aiuto e sostegno che ne ha caratterizzato l'inizio.
Rileggo la frase che ho appena scritto e mi rendo conto di aver affermato, con un tono un po’ retorico, una apparente ovvietà: ogni cosa fatta con amore sincero nei confronti degli altri comporta che chi ne beneficia prenda la sua strada che, proprio perché sua, non è detto che coincida con la nostra.
Ad esempio se alla scuola di Mogol uscissero solo dei  “Simil Mogol” sarebbe la dichiarazione di fallimento della scuola stessa.
Ovvietà, certo, ma guardandosi attorno ci si può rendere conto che ogni tanto quello che sembrerebbe scontato viene smentito dall’esperienza concreta: l'autonomia, e la crescita personalizzata pare vadano davvero poco di moda perché sono difficilmente controllabili.


Tutto questo per dare conto dell’evento che ho vissuto oggi: il passaggio del Centro Diurno per disabili di Pomerini, nato come “emanazione della Nyumba Ali”, alla gestione diretta da parte della  “Mawaki” Associazione Tanzaniana  promossa da Fra Paolo (di cui ho già scritto qualcosa nel 2012 http://pieffe.blogspot.com/2012/07/e-sono-ancora-qui-6-penultimi-frammenti.html) e composte da persone del posto..
La sottoscrizione del vero e proprio atto di “passaggio” è stata preceduta da un momento di festa con uno spettacolo di ballo e ginnastica proposto dai ragazzi del centro per ragazzi sieropositivi che sorge accanto a quello per minori disabili. Conosco persone che si interessano di ginnastica e di ballo: ho pensato a come avrebbero reagito al mio posto. Poi ho anche pensato che il talento “naturale” si chiama così proprio perché nessuno lo contamina incanalandolo in schemi predefiniti. Comunque se qualche “talent scout” vuol fare un giro da queste parti posso passare l’indirizzo: procuratevi una macchina robusta e armatevi di pazienza; anche il nostro potente fuoristrada ha pagato qualche prezzo (già riparato il giorno dopo, qui i gommisti non chiudono la vigilia di Natale)
Pomerini rimane sempre un posto speciale, spazzato dal vento d’alta montagna può offrire giornate di una limpidezza incredibile che fanno risaltare i boschi di eucalipti (un souvenir della dominazione germanica) che circondano la zona. Il bel vivaio organizzato dalla comunità di Fra Paolo dimostra come si possa produrre reddito, aiutare chi è più in difficoltà e salvaguardare la natura.
A Maggio Fra Paolo verrà in Italia: gli ho chiesto di vederci, mi piacerebbe farlo conoscere a chi si attorciglia su se stesso nella ricerca di uno sguardo capace di leggere dentro e fuori di sé.

Le foto di oggi sono del cimitero di Pomerini...una panoramica generale ed il dettaglio di una tomba anonima: due mattoni da prendere come pietre per costruire un mondo diverso?


23 dicembre 2016

Nota del 22 dicembre: aria di casa con tempo e pazienza.

“Sono impegnato a vivere, non ho tempo per scrivere.”
Questa frase ritrovata nel quaderno degli appunti di William Faulkner (ma sarà vero?) fotografa la mia situazione attuale e mi dà l’opportunità di avvisare i miei assidui lettori che il ritardo di un giorno delle mie note quotidiane è destinato inevitabilmente ad aumentare.
È giusto così, è doveroso adattarsi ai tempi del luogo; scrivere un brano con tempo Larghissimo  che per gli esperti di musica significa "molto, molto lento, estremamente lento, più lento di largo". Noi dilettanti potremmo definirlo “Andante con calma”.

Il 22 dicembre  l’inverno tanzaniano ha dispiegato i suoi effetti regalandoci una bella giornata di sole non troppo assillante: giusto quei 26 gradi che si fanno gradire senza troppa gradualità.
Si stava bene fuori ma soprattutto si stava bene dentro, dentro ai Centri della Nyumba Ali: quello storico qui e quello nuovo inaugurato di recente a Ngome    
Ho ritrovate le Dade e i bambini come se non fossero già passati 4 anni dall'ultima volta: un senso di rispetto e di impegno ben indirizzato che si è allargato ad altri adulti e bambini.
So quanto lavoro paziente e profondo c’è dietro, ma non finisco di rinnovare ogni volta lo stupore.
I Centri resteranno aperti fino alla mattina del 24 dicembre quando la festa tutti insieme ci permetterà di celebrare il Natale. A Ngome abbiamo cantato insieme un canto di benvenuto “karibuni” coi bimbi e le Dade: un assaggio di cosa ci aspetta la vigilia di Natale. Musica semplice, parole ripetute senza difficoltà, passi accennati di corpi in movimento… siamo nel pezzo, nel cuore del cuore.

Al pomeriggio la visita al sasso di Gangilonga: una ampia roccia che domina la città. C'ero già stato nel 2012 quando bastava salire lungo il sentiero: oggi hanno messo cartelli segnaletici, si paga il biglietto e in cima si trova una guardia che controlla che non avvengano atti di vandalismo o di violenza (altro effetto della globalizzazione?)
Il luogo in ogni caso è particolarmente suggestivo soprattutto per essere stato usato dal  Capo Mwewe per resistere agli assalti dei tedeschi nel periodo dal 1894 al 1898. Pochi sanno che la Tanzania è stata conquistata dai tedeschi che l’hanno tenuta fino alla fine della prima guerra mondiale quando passò definitivamente agli inglesi: questa storia di resistenza ai tedeschi me la fa sentire ancora più vicina.
Sul grande masso il panorama è molto suggestivo e ci ha visto riuniti tutti insieme: nell’occasione ho indossato i panni del  padre vecchio stampo “facciamo una foto tutti insieme qui: il posto è unico!”

La foto è fatta, quando sarà visibile? Arriverà: intanto ci vuole tempo e pazienza

22 dicembre 2016

Noticina fra attesa e speranza: 21 dicembre (il viaggio, parte seconda)

Grazie al nostro amico taxista abbiamo potuto verificare i biglietti e caricare i bagagli appena il nostro Bus ha iniziato a far salire le persone alle 5,30. Pullman abbastanza confortevole con noi sei “mzungu” nelle prime file. Il motore viene acceso subito anche se la partenza è prevista alle 6,30: siamo nel mezzo  del formicaio della stazione dei bus di Dar Es Salaam, dove non si capisce da che parte si possa uscire dato che ogni autobus è chiuso da ogni lato da un altro mezzo analogo.
Varrebbe la pena provare a dormire se non fosse che ogni due minuti sale qualcuno per prendere posto insieme ad uno della Ditta che raccoglie i soldi del biglietto e scarabocchia la ricevuta.
Appena gli occhi cedono arriva a bordo altra gente che cerca di vendere qualcosa per sopportare il peso del viaggio: dalle cuffie per smartphone all’acqua, dalle fette di pane ai giornali si può trovare di tutto comodamente consegnato in mano tua (altroché Amazon…).


Fino alle 7,40 il motore rimane acceso ma non ci si muove, poi finalmente si parte e vengono percorsi i primi 50 metri della mega colonna in cui tutti i bus si dirigono verso l’unica uscita.  Siamo nel brano evangelico della “porta stretta” e i nomi di alcuni pullman (ad esempio  “Power of god” o il nostro che si chiama “Upendo” che si traduce “amore”) ne sono la conferma.
Dar a quell’ora è caotica quindi il ritardo è solo destinato ad aumentare.
Per fortuna la colonna sonora dei video sparati sul monitor del mezzo allietano il viaggio; “finalmente musica!” penso nell’illusione di ascoltare qualcosa di tipico che mi aiuti ad avvicinarmi alla cultura locale. Peccato: la musica è la stessa bassamente commerciale che puoi sentire in qualsiasi  altra parte del mondo, una miscela tra Hip Hop e Rap melodico semplicemente cantata in Swahili, senza parlare dei balletti sempre uguali in cui la naturale eleganza del ballo tribale africano ha ceduto agli stereotipi americani.
Benedetta globalizzazione che ci mette a nostro agio offrendoci ovunque un universo sonoro ormai omologato. Anche la musica commerciale, come la Coca Cola, la  trovi uguale in tutto il mondo.
Per fortuna so che in questi giorni potrò incontrare gente non ancora contaminata del tutto: spero che il mio cammino qui e altrove mi offrirà ancora spazi di autenticità.


Nel lungo viaggio abbiamo attraversato il Parco di Mikumi: rigidi limiti di velocità obbligano al rispetto per la natura che si è trovata, suo malgrado, attraversata dalla più importante strada della Tanzania. Così ho potuto vedere antilopi, facoceri, giraffe, scimmie (queste ci hanno  costretto a fermarci per far passare la loro famigliola).
Dopo, fuori dal parco, ho visto in distanza un altro animale attraversare la strada da solo, si trattava di un cane: il mio stupore mi ha fatto riflettere sul fatto che da anni non vedo più in giro cani da soli. Sarà un segno del progresso dell’umanità?


La strada, poi, ci ha regalato due incidenti che hanno fatto aumentare il ritardo obbligandoci a lunghe soste da sopportare con pazienza. Sulle montagne tra Morogoro e Iringa non esistono strade alternative e se vecchi camion sbandano a forte velocità si aspetta pazientemente che la coda si smaltisca.
La compostezza della gente (noi con loro) che non imprecava né chiamava altri sul cellulare ma, semplicemente, aspettava mi ha fatto tornare in mente un proverbio tanzaniano che mio cognato Lucio cita spesso riferito ai bianchi “Voi avete l’orologio, noi abbiamo il tempo”.

Noi il tempo lo abbiamo avuto: seduti sul pullman alle 5,30, partiti alle 7,40 da Dar siamo arrivati a Iringa alle 20,10. Alla fine è stato più lungo il viaggio in pullman di quello in aereo, ma Andrea era lì ad aspettarci. Dalle 16 fino al nostro arrivo, in assenza di notizie che dal pullman non riuscivamo ad inviargli, ha aspettato anche lui, investendo il tempo senza pensare all’orologio: anche questa è famiglia, anche questa è una noticina di speranza da coltivare.



Note “al volo”: 20 dicembre, il viaggio (prima parte)

Scrivo già dalla Nyumba Ali, quindi l’esito finale del viaggio è stato positivo: siamo arrivati tutti, tutte le nostra valigie, tutto il contenuto delle stesse compreso quello ai limiti della legalità (leggasi salama da sugo e pampepato).
In aereo il viaggio è sostenuto da generi di conforto offerti dalla compagnia aerea: film, giochi, musiche disponibili sullo schermo touch e cibo buono ed abbondante (un pranzo da Bologna a Istanbul, una cena e merenda successiva da Istanbul a Dar).
Ci sono poi le cose che ognuno si porta da casa: libri, settimana enigmistica, giochi vari.
Infine ci sei tu e gli altri: pensieri, attese, sguardi, risate, tentativi più o meno riusciti di sonnecchiare.

Prima nota: ho iniziato a leggere un libro (non voglio fare pubblicità finché non l’avrò finito in tutte le 666 pagine  - glossario compreso - dell’edizione italiana) e trovo spunti significativi senza farmi impressionare dal valore simbolico del numero totale delle pagine. Sono all’inizio e a pag 37 trovo: “Il suono del tempo, che fine ha fatto?”
E’ scritto per me? Quale sarà il suono del tempo, di questo tempo, di questo viaggio, di questa storia e delle altre che conoscerò? Che fine ha fatto il suono del tempo...e il tempo del suono come scorre?

La selezione audio della Turkish mi propone “The best of Joan Baez” e non c’è nessuna delle canzoni che tutti conoscono: poco prima dell’atterraggio, però, la voce unica di Joan attacca “Imagine…” dal vivo con la chitarra senza il tradizionale stacco di piano. Imagine, la I di Iringa, la meta del viaggio. Che dire?

La notte di Dar è nera e calda col riflesso bianco del sorriso dell’accogliente taxista che ci accoglie.



19 dicembre 2016

Noticine, piccole storie da sviluppare (forse): “Povero Re…” - 19 dicembre -

Da qualche tempo è scomparso il Re. Non si tratta dell’effetto del referendum sulla monarchia ma di un evento ineluttabile avvenuto quasi nel silenzio generale.
Si tratta del Re cosiddetto naturale, quello che nella tastiera si trova in mezzo fra il Do e il Mi. Oggi non interessa più, è fuori moda: un tasto bianco, centrale, naturale… sa di vecchio rispetto alle distorsioni dei più attuali Re diesis  e Re bemolle.
Oggi bisogna sempre avere qualcosa in più o in meno: per questo nei social hanno cominciato a definire il Re naturale col nome tecnico di “bequadro” il segno musicale che annulla l'alterazione cromatica prodotta dal diesis o dal bemolle.
Il povero Re, descritto come  l’annullamento di qualcosa, è diventato immediatamente antipatico.
Anche quelli che, per tentare di salvarlo, lo definiscono “diversamente diesis o diversamente bemolle”, mentono sapendo (forse)  di mentire e contribuiscono alla sua scomparsa. 
Come spesso succede i tentativi di difesa possono essere più nocivi degli attacchi espliciti.

Addio Re naturale, semplice, datato, abusato dai chitarristi incapaci di accordi complessi. Attorno a te le note più vicine resistono ma anche loro hanno dovuto subire una mutazione semantica. Il Do è diventato Dio, il Mi è diventato Mio… religione e proprietà unite insieme non vanno mai fuori moda.
E l’Africa? 
Ci aspetta: domani partiamo, la troveremo ancora naturale o sarà diventata bequadro?





Note e noticine: piccolo gioco musicale (18 dicembre)

Oggi (ormai ieri: scrivere oltre la mezzanotte sta diventando abituale) è domenica  e sono in vena di un piccolo gioco in preparazione al viaggio che mi porterà fra due giorni da Ferrara a Iringa. 
Le lettere dei nomi delle due città suggeriscono al volo l'iniziale di una canzone  (in termini più corretti si chiama acrostico). 
In italiano per FERRARA, in inglese per IRINGA (la lingua dei colonizzatori del ‘900…se mai imparerò un po’ meglio lo Swahili potrò provarci con quella lingua).
Per i miei 12 lettori: conoscete al volo tutti gli autori?

Fiori rosa, fiori di pesco
Ebano
Riderà
Ragionier Minghella
A chi
Ricordati di me
Alla Fiera dell’Est

Imagine
Redemption Song
Indipendence day
No fish today
Go down Moses
All you need is love


Nella foto un Kazoo, lo strumento più democratico che esista: con un kazoo  chiunque può suonare le 13 canzoni.

18 dicembre 2016

Note e noticine: 17 dicembre, corde da chitarra che creano legami

Della chitarra comprata a Dar e rimasta nella Nyumba Ali ho già scritto nel luglio del 2012.
Chi ha voglia, può fare un salto qui http://pieffe.blogspot.it/2012/07/e-sono-ancora-qui-nella-nyumba-ali-la.html e leggere il diario di quel giorno che comprende anche il viaggio di andata (i miei 12 lettori confermano che ne vale la pena).
Intanto ecco la foto della chitarra sul muro della Nyumba Ali




Abbiamo avuto notizia che una corda si è rotta ed è stata sostituita con una da chitarra acustica di non ben identificata provenienza: per questo non sarebbe male mettere in valigia, insieme alla salama da sugo e al pampepato, un'intera muta di corde da chitarra classica.
Ecco che nel foglietto degli appunti sulle cose da mettere in valigia è apparso “corde da chitarra”.

Oggi, 17 dicembre, ho visto, quasi per caso passandoci davanti in bici, un piccolo negozio che non avevo ancora notato dalle parti di San Giorgio: viste  alcune chitarre in vetrina ho deciso di entrare.
Ho aspettato che il bassista davanti a me risolvesse i suoi dubbi esistenziali sui vari modelli che stava provando e poi mi sono fatto avanti.
Quattro chiacchiere col gestore per spiegare il rapporto qualità/prezzo che meglio si adattava alla mia richiesta.
Lui ha guardato meglio le varie possibilità poi mi ha passato quelle più adatte e mi ha sorriso dicendo che non voleva essere pagato ma le regalava perché suonassero per i bambini del Centro di cui gli avevo appena parlato.
Non voglio usare il blog per fare pubblicità, ma esprimere riconoscenza ed evidenziare le buone cose che si incontrano è, per me, un dovere morale (oggi più che mai).
Quindi: #solobuonenotizie (si legge: diesis – buonenotizie?) dalla liuteria Marco Pontillo:  www.liuteriamarcopontillo.com metteremo anche il suo nome sul muro dei ringraziamenti della Nyumba Ali per queste corde che non legano ma creano legami.

16 dicembre 2016

Noticina storica: scacciapensieri e vibrafono (16 dicembre)

Il mio profe di musica delle medie (1969 – 1972) ha qualche responsabilità sulla mia visione della musica.
Suonavamo tutti insieme  lo scacciapensieri invece del flauto dolce e l’effetto era veramente suggestivo, soprattutto quando per Natale ci esibivamo in Jingle Bells. A ripensarci era già un primo accenno di contaminazione culturale: la più americana delle musiche natalizie eseguite col più siciliano degli strumenti (Frank Sinatra,  se lo avesse saputo, sarebbe stato contento di noi).







Poi ci faceva disegnare  per provare a mettere in forma grafica le sensazioni che ci comunicava la musica: anche qui un livello di creatività da vero precursore.


Lo strumento più ambito era il vibrafono portatile che, affidato a uno studente, lo trasformava in un solista nel “mi mi mi…” di Jingle Bells.
Non era nemmeno due ottave, si poteva trasportare senza problemi e infilare nella cartella: ogni tanto qualcuno di noi  poteva portarlo a casa e prepararsi per la lezione della settimana dopo.
Quando è toccato a me, in seconda, ho composto la mia prima canzone: una semplice scala ascendente con un testo molto impegnativo “Tu lo sai che ti do quel che ho, forse più, ma per te non basta mai…e allora? Cosa fai? Cosa Vuoi? Ma il mondo che tu vuoi non esiste, credi a me” me la ricordo come se fosse ieri e potrei ricantarla in qualsiasi momento.

Questo imminente Natale africano si colora un po’ di nostalgia e la memoria si fa strada per il presente. Quella stessa musica,  composta 45 anni fa, la registrerò mettendola nella playlist da far andare con la funzione Random durante il volo da Istanbul a Dar Es Salaam: chissà se verrà proposta in mezzo agli oltre trecento brani che riempiono la memoria esterna del mio smartphone?

Note, noticine e anche strumenti: armonium del 15 dicembre.

Il 15 dicembre è l'anniversario della nascita della mia Parrocchia, la specialissima chiesa di Viale Krasnodar. Dopo la Messa e la cena comunitaria è andata in scena  una rappresentazione sul Natale straordinariamente efficace nella sua semplicità.

Sono stato scritturato in extremis per accompagnare con la tastiera alcuni canti tradizionali che scandivano alcune scene. La mia scelta è stata quella di usare il vecchio armonium fermo in un angolo della chiesa: per farlo suonare bisogna pedalare decisi
per azionare i mantici che danno suono alle note, altrimenti non funziona.
Per me, pianista "a orecchio" che faccio gli accordi e cerco qualche nota della melodia, è stata un'emozione speciale accompagnare  “Astro del ciel” e “Tu scendi dalle stelle” con la rilassatezza di un coro di amici consapevoli ma senza ansia da prestazioni.
Ho ritrovato poi un classico della mia adolescenza: "In notte placida"  e tornando a casa ho scoperto che è un testo antico italiano su una musica del francese  François Couperin (1668-1733). Ho resistito alla tentazione di suonarlo come una mazurca e, anzi, ho messo molta enfasi, pedalando come Coppi sullo Stelvio, quando attacca il ritornello passando dall’accordo maggiore a quello minore.
Anche queste sensazioni semplici,  queste musiche calde della nostra tradizione mi aiutano a prepararmi al primo Natale della mia vita sotto l’Equatore. 

So già che in Africa la Messa è una festa di musica e balli: a Natale sarà quell’apoteosi che noi, ormai appiattiti sui tristi rituali degli spot, forse non riusciamo nemmeno ad immaginare. Spero di essere pronto a farmi coinvolgere e che  pedalare all’armonium mi sia servito da allenamento fisico e spirituale.




14 dicembre 2016

Note e noticine. Note, ma anche accordi: 14 dicembre, MI settima

MI settima.
Ovvio ricordare la canzone di Celentano “Il Mondo in Mi settima” del 1969. Canticchio la prima frase “Prendo il giornale e leggo che di giusti al mondo non ce n'è. Come mai, il mondo è così brutto!? Sì!  Siamo stati noi a rovinare questo capolavoro sospeso nel cielo!” e non mi sottraggo al luogo comune: dopo quasi cinquant’anni siamo allo stesso punto, se non peggio (sarà vero?).
Celentano è lo stesso che sabato 3 ottobre 1987 rimase a lungo in silenzio in prima serata su RAI1 creando molto scalpore. Me lo ricordo bene: lo stavo guardando insieme alle signore ricoverate in ginecologia al Sant’Anna mentre aspettavo che la mia formidabile moglie regalasse al mondo il nostro primo figlio. Il silenzio di Celentano era, per me, quello prima dell’esplosione della vita, quella che ti cambia per sempre.
E’ lo stesso silenzio interiore con cui mi preparo a incontrare, fra qualche giorno, il bambino nato quella sera: lo immagino apparire dal finestrino della corriera che ci porterà a Iringa per un Natale tutti insieme nella “Casa con le ali”.


MI settima è anche l’accordo fondamentale della prima canzone che ho scritto in lingua Swahili: sulla musica di “Be-Bop-A-Lula” si intitola “Nyumba Ali Rock”… ma questa è un’altra storia: non so se mi ricorderò di raccontarla.


13 dicembre 2016

Note e noticine: il viaggio mi suona dentro: 13 dicembre (fa#)

Dal 13 dicembre al 13 gennaio: preparazione, partenza, permanenza. 
Con pazienza in 31 giorni, 13 e 31: la fine è l’inizio.

13 dicembre 2016. 
Fra una settimana si parte. 7 giorni per muoversi insieme, 6 persone di una sola famiglia per raggiungere il settimo attualmente in Tanzania.
La preparazione è scandita da una nota al giorno.

Oggi è il FA diesis. Esiste una setta inglese che sostiene che il Fa diesis è il suono che si è diffuso nell’universo al momento della creazione.
Mi piace l’idea  anche se non ho le basi scientifiche per dire che poteva anche essere un MI oppure che, invece di FA diesis, si potrebbe chiamare Sol bemolle che per me, musicista da falò sulla spiaggia, sarebbe anche la stessa cosa. Poi penso all’Africa, alla meta del mio viaggio e mi verrebbe da dire che per la ricchezza del territorio la nota giusta sarebbe più che da altre parti,un Sol;  mentre per la vastità della depredazione che la gente di quel continente ha subito potrebbe essere un Fa naturale, mezzo tono sotto il resto della terra. Per ascoltare il vero suono della nostra terra  ci vuole equilibrio e attenzione: una sfida anche per me che ultimamente ho cominciato a chiamare il diesis  “hashtag”. 


6 dicembre 2016

Sto per partire ancora per l'Africa: destinazione Nyumba Ali

Sto per partire ancora per l'Africa: destinazione Nyumba Ali a Iringa. 
Dal 2012 quando sono stato per l'ultima volta nella "Casa con le Ali" sono cambiate un sacco di cose. Innanzitutto la mia famiglia è sempre più coinvolta nell'esperienza del Centro Diurno per disabili e della Casa famiglia: talmente coinvolta che non si contano gli avanti - indietro fatti non solo da mia sorella  Bruna e mio cognato Lucio (e con loro la mia "nipotina" Vicky e la "figlioccia"Ageni) ma anche dai miei figli più grandi.
Non posso raccontare tutto qui, ora: voglio solo cominciare a condividere l'attesa del prossimo viaggio che ci vedrà partire in sei il 20 dicembre per raggiungere Andrea che vive là già dal 19 agosto.
Non so immaginare come possa essere viaggiare insieme marito, moglie e quattro figli dai 27 ai 13 anni: mi figuro il viaggio in aereo come un incrocio fra le commedie anni '60 sulle famiglie stipate in treno verso le vacanze estive e la confusione all'uscita di casa di "Mamma ho perso l'aereo".
So che sarà un Natale speciale a cui preparo, piano piano, il mio cuore.
Per chi mi vorrà seguire  proverò a fare qualche resoconto dell'esperienza scrivendo qualcosa qui.
Intanto mi preparo ripercorrendo l'AbeceDiario della prima volta (nel 2011) che sono stato alla Nyumba Ali.
Se a qualcuno interessa, eccolo AbeceDiario Africano - 2011


1 maggio 2016

Ancora sull'obiezione di coscienza, senza trascurare la L.194 (28 aprile 2016)

INVIATO ALLA STAMPA LOCALE IL 28 APRILE 2016
Sono passate più di due settimane dal mio intervento sull'obiezione di coscienza e ringrazio dell'attenzione che le mie riflessioni hanno avuto: sono contento se in qualche modo hanno contribuito ad alimentare un dibattito.
Devo, però, scrivere ancora alcune cose: prometto che per me la questione potrà finire qui.
Innanzitutto una precisazione.
Sono stato indicato come obiettivo di un articolato intervento di CGIL e UDI di Ferrara. Lo ritengo un accostamento improponibile, sia per l'errore dell'incipit (enfatizzato anche nei titoli) che sostiene esattamente il contrario delle idee che ho espresso io, sia perché mi sembra impossibile che organizzazioni così complesse e radicate nel territorio si prendano la briga di rispondere ad una singola persona. Il documento ha firme istituzionali: presuppone, perciò, un ampio coinvolgimento degli organi rappresentativi degli iscritti alle stesse (che, se non sbaglio, nella CGIL di Ferrara sono attorno agli 80.000). Un impegno del genere per dare risposte ad un solo cittadino che si espone a titolo personale dovrebbe essere messo in moto ogni giorno, vista la gran mole di commenti che girano sulla stampa.

Col mio intervento volevo soprattutto porre l'attenzione sui principi di fondo dell’obiezione di coscienza che, per me (ma non solo: ad esempio Papa Francesco su questi temi è, come sempre, molto chiaro) è un valore che viene prima della legge, della prassi e del sentire comune.
Da qui le domande che ho posto. “Esiste un coscienza buona che obietta contro quello che non piace al pensiero dominante ed una coscienza “cattiva” che esprime un pensiero critico? La morale va a scatti e cambia a seconda dell’oggetto che riguarda?” su cui ho avuto delle risposte.
Molto chiara quella di Ilaria Baraldi secondo cui si tenta forzosamente di accostare l'obiezione al servizio militare all'obiezione di medici e farmacisti nell'esercizio delle loro funzioni. Ciò è poco sensato. Le obiezioni sono tutte diverse perché diverso è ciò verso cui si obietta.”
La riposta, fra le più moderate, è precisa e, soprattutto, ha avuto un notevole consenso facilmente riscontrabile sulle varie pagine web: la considero rappresentativa del “sentire comune” e la assumo come risposta chiara alle mie domande.
Le possibili obiezioni sono determinate dall’obiettivo che hanno e non dal principio che le genera (quello che io colloco al livello della coscienza).
E’ evidente che ci si trova di fronte a diverse visioni dell’uomo e del mondo: ed è altrettanto evidente che ancora oggi affermare il primato della coscienza sulla legge è una dichiarazione inaccettabile o, nella versione più “soft”, poco sensato.

A non farmi sentire totalmente fuori dal mondo ha contribuito la posizione del Movimento Nonviolento che, attraverso Daniele Lugli, riconosce e concorda con la mia intenzione di una "difesa, senza se e senza ma, dell'obiezione di coscienza anche dei ginecologi".


Purtroppo nessuno, invece, ha detto qualcosa sull’obiezione professionale che, citata esplicitamente, potrebbe riguardare lavoratori impegnati in attività collegate alle armi e alla guerra. Ricordo l’intervento di un segretario nazionale della FIOM–CGIL un anno fa all’incontro pubblico “Un’altra difesa è possibile”: correttamente segnalava che l’industria bellica è quella che cresce di più e produce ricerca, innovazione e occupazione. Improponibile parlare di riconversione e men che meno di obiezione di coscienza.
Mi piacerebbe che la CGIL di Ferrara (magari insieme a CISL e UIL) facesse un’indagine sul rapporto fra produzione (industriale e di servizi) e collegamento diretto o indiretto col mercato della guerra. Da qui potrebbe partire una riflessione su come si può concretizzare il diritto a lavorare secondo conoscenza e coscienza.

Infine non mi sottraggo da una riflessione sull’applicazione della Legge 194/78.
L’urgenza per tutti di dire qualcosa è venuta certamente dal pronunciamento del Comitato Europeo dei diritti Sociali del Consiglio d’Europa che è stato reso noto lo stesso giorno in cui i giornali locali hanno pubblicato il mio intervento. La gran parte degli interventi, anche esplicitamente in risposta a me, è basato su cifre che tendono a dimostrare che l'obiezione di coscienza impedisce una corretta applicazione della 194. 
I dati riportati dall'Ass. Sapigni confermano invece che sul nostro territorio le interruzioni avvengono regolarmente e, in altissima percentuale, in tempi rapidi.

 Io aggiungo come spunto di riflessione il dato che a me, personalmente, ha sconvolto: a Ferrara e provincia ogni quattro bambini concepiti tre nascono e uno subisce un'interruzione volontaria di gravidanza. Il rapporto è peggiore di quello nazionale che si attesta su un aborto ogni cinque gravidanze.
Davvero si può dire che l’aborto non è sufficientemente accessibile?
L’IVG dovrebbe essere un intervento straordinario: che si verifichi nel 25% delle gravidanze mi sembra un dato che dà uno spaccato quanto meno preoccupante della società ferrarese. Sbaglio a farmi delle domande su questo?
Un così alto rapporto percentuale di IVG fa temere una mancata applicazione della 194 che, non a caso, si chiama “Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza”.
Spesso si dimentica che legge prima di tutto promuove la tutela della gravidanza. Il testo stesso prevede che i consultori “assistono la donna in stato di gravidanza (…) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza.” Tutto ciò anche attraverso associazioni di volontariato “che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita.”
Se una gravidanza su quattro viene interrotta è evidente, secondo me, che la legge non raggiunge i suoi obiettivi di tutela.

Come famiglia affidataria abbiamo avuto il grande regalo di poter accogliere in casa nostra neonate da “parti anonimi” e accompagnarle verso le famiglie adottive: mi fa piacere pensare che tutto questo è possibile grazie ad incontri che hanno permesso una lettura attenta dei bisogni delle madri. Mi vengono i brividi a pensare che con un atteggiamento sbrigativo verso la soluzione medica queste bambine non sarebbero mai nate.
Poi mi chiedo se nemmeno uno degli oltre 800 bambini non nati in un anno nella nostra provincia non avrebbe potuto nascere grazie ad una migliore tutela e accompagnamento verso e dopo la nascita. Sono pensieri antistorici, contro i diritti delle donne?
Io, per quello che valgo, mi sento provocato a pensare ad un modello di società più accogliente in cui ognuno da il suo contributo di solidarietà: sindacati, associazioni, istituzioni, organizzazioni religiose, partiti politici, medici obiettori, circoli culturali, società sportive, centri sociali… possono dare spazio e risorse per una serie concreta di interventi attivi per ridurre la percentuale troppo alta di bambini concepiti e non nati? Fosse uno in meno all’anno sarebbe già un risultato: se fossero cento sarebbe un grande segno di speranza per il nostro territorio e un esempio da proporre in Italia e, perché no, in Europa.

Patrizio Fergnani, singolo cittadino obiettore di coscienza