INVIATO ALLA STAMPA LOCALE IL 28 APRILE 2016
Sono
passate più di due settimane dal mio intervento sull'obiezione di
coscienza e ringrazio dell'attenzione che le mie riflessioni hanno
avuto: sono contento se in qualche modo hanno contribuito ad
alimentare un dibattito.
Devo,
però, scrivere ancora alcune cose: prometto che per me la questione
potrà finire qui.
Innanzitutto
una precisazione.
Sono
stato indicato come obiettivo di un articolato intervento di CGIL e
UDI di Ferrara. Lo ritengo un accostamento improponibile, sia per
l'errore dell'incipit (enfatizzato anche nei titoli) che sostiene
esattamente il contrario delle idee che ho espresso io, sia perché
mi sembra impossibile che organizzazioni così complesse e radicate
nel territorio si prendano la briga di rispondere ad una singola
persona. Il documento ha firme istituzionali: presuppone, perciò, un
ampio coinvolgimento degli organi rappresentativi degli iscritti alle
stesse (che, se non sbaglio, nella CGIL di Ferrara sono attorno agli
80.000). Un impegno del genere per dare risposte ad un solo cittadino
che si espone a titolo personale dovrebbe essere messo in moto ogni
giorno, vista la gran mole di commenti che girano sulla stampa.
Col
mio intervento volevo soprattutto porre l'attenzione sui principi di
fondo dell’obiezione di coscienza che, per me (ma non solo: ad
esempio Papa Francesco su questi temi è, come sempre, molto chiaro)
è un valore che viene prima della legge, della prassi e del sentire
comune.
Da
qui le domande che ho posto. “Esiste un coscienza buona che
obietta contro quello che non piace al pensiero dominante ed una
coscienza “cattiva” che esprime un pensiero critico? La morale va
a scatti e cambia a seconda dell’oggetto che riguarda?” su
cui ho avuto delle risposte.
Molto
chiara quella di Ilaria Baraldi secondo cui “si tenta
forzosamente di accostare l'obiezione al servizio militare
all'obiezione di medici e farmacisti nell'esercizio delle loro
funzioni. Ciò è poco sensato. Le obiezioni sono tutte diverse
perché diverso è ciò verso cui si obietta.”
La
riposta, fra le più moderate, è precisa e, soprattutto, ha avuto un
notevole consenso facilmente riscontrabile sulle varie pagine web: la
considero rappresentativa del “sentire comune” e la assumo come
risposta chiara alle mie domande.
Le
possibili obiezioni sono determinate dall’obiettivo che hanno e
non dal principio che le genera (quello che io colloco al livello
della coscienza).
E’
evidente che ci si trova di fronte a diverse visioni dell’uomo e
del mondo: ed è altrettanto evidente che ancora oggi affermare il
primato della coscienza sulla legge è una dichiarazione
inaccettabile o, nella versione più “soft”, poco sensato.
A
non farmi sentire totalmente fuori dal mondo ha contribuito la
posizione del Movimento Nonviolento che, attraverso Daniele Lugli,
riconosce e concorda con la mia intenzione di una "difesa, senza se e senza ma, dell'obiezione di coscienza anche dei ginecologi".
Purtroppo
nessuno, invece, ha detto qualcosa sull’obiezione professionale
che, citata esplicitamente, potrebbe riguardare lavoratori impegnati
in attività collegate alle armi e alla guerra. Ricordo l’intervento
di un segretario nazionale della FIOM–CGIL un anno fa all’incontro
pubblico “Un’altra difesa è possibile”:
correttamente segnalava che l’industria bellica è quella che
cresce di più e produce ricerca, innovazione e occupazione.
Improponibile parlare di riconversione e men che meno di obiezione di
coscienza.
Mi
piacerebbe che la CGIL di Ferrara (magari insieme a CISL e UIL)
facesse un’indagine sul rapporto fra produzione (industriale e di
servizi) e collegamento diretto o indiretto col mercato della guerra.
Da qui potrebbe partire una riflessione su come si può concretizzare
il diritto a lavorare secondo conoscenza e coscienza.
Infine
non mi sottraggo da una riflessione sull’applicazione della Legge
194/78.
L’urgenza
per tutti di dire qualcosa è venuta certamente dal pronunciamento
del Comitato Europeo dei diritti Sociali del Consiglio d’Europa che
è stato reso noto lo stesso giorno in cui i giornali locali hanno
pubblicato il mio intervento. La gran parte degli interventi, anche esplicitamente in risposta a me, è basato su cifre che tendono a dimostrare che l'obiezione di coscienza impedisce una corretta applicazione della 194.
I dati riportati dall'Ass. Sapigni confermano invece che sul nostro territorio le interruzioni avvengono regolarmente e, in altissima percentuale, in tempi rapidi.
Io aggiungo come spunto di riflessione il dato che a me, personalmente, ha sconvolto: a Ferrara e provincia ogni quattro bambini concepiti tre nascono e uno subisce un'interruzione volontaria di gravidanza. Il rapporto è peggiore di quello nazionale che si
attesta su un aborto ogni cinque gravidanze.
Davvero
si può dire che l’aborto non è sufficientemente accessibile?
L’IVG
dovrebbe essere un intervento straordinario: che si verifichi nel 25%
delle gravidanze mi sembra un dato che dà uno spaccato quanto meno
preoccupante della società ferrarese. Sbaglio a farmi delle domande
su questo?
Un
così alto rapporto percentuale di IVG fa temere una mancata
applicazione della 194 che, non a caso, si chiama “Norme per la
tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della
gravidanza”.
Spesso
si dimentica che legge prima di tutto promuove la tutela della
gravidanza. Il testo stesso prevede che i consultori “assistono
la donna in stato di gravidanza (…) contribuendo a far superare le
cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della
gravidanza.” Tutto ciò anche attraverso associazioni di
volontariato “che possono anche aiutare la maternità difficile
dopo la nascita.”
Se
una gravidanza su quattro viene interrotta è evidente, secondo me,
che la legge non raggiunge i suoi obiettivi di tutela.
Come
famiglia affidataria abbiamo avuto il grande regalo di poter
accogliere in casa nostra neonate da “parti anonimi” e
accompagnarle verso le famiglie adottive: mi fa piacere pensare che
tutto questo è possibile grazie ad incontri che hanno permesso una
lettura attenta dei bisogni delle madri. Mi vengono i brividi a
pensare che con un atteggiamento sbrigativo verso la soluzione medica
queste bambine non sarebbero mai nate.
Poi
mi chiedo se nemmeno uno degli oltre 800 bambini non nati in un anno
nella nostra provincia non avrebbe potuto nascere grazie ad una
migliore tutela e accompagnamento verso e dopo la nascita. Sono
pensieri antistorici, contro i diritti delle donne?
Io,
per quello che valgo, mi sento provocato a pensare ad un modello di
società più accogliente in cui ognuno da il suo contributo di
solidarietà: sindacati, associazioni, istituzioni, organizzazioni
religiose, partiti politici, medici obiettori, circoli culturali,
società sportive, centri sociali… possono dare spazio e risorse
per una serie concreta di interventi attivi per ridurre la
percentuale troppo alta di bambini concepiti e non nati? Fosse uno in
meno all’anno sarebbe già un risultato: se fossero cento sarebbe
un grande segno di speranza per il nostro territorio e un esempio da
proporre in Italia e, perché no, in Europa.
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