1 maggio 2016

Ancora sull'obiezione di coscienza, senza trascurare la L.194 (28 aprile 2016)

INVIATO ALLA STAMPA LOCALE IL 28 APRILE 2016
Sono passate più di due settimane dal mio intervento sull'obiezione di coscienza e ringrazio dell'attenzione che le mie riflessioni hanno avuto: sono contento se in qualche modo hanno contribuito ad alimentare un dibattito.
Devo, però, scrivere ancora alcune cose: prometto che per me la questione potrà finire qui.
Innanzitutto una precisazione.
Sono stato indicato come obiettivo di un articolato intervento di CGIL e UDI di Ferrara. Lo ritengo un accostamento improponibile, sia per l'errore dell'incipit (enfatizzato anche nei titoli) che sostiene esattamente il contrario delle idee che ho espresso io, sia perché mi sembra impossibile che organizzazioni così complesse e radicate nel territorio si prendano la briga di rispondere ad una singola persona. Il documento ha firme istituzionali: presuppone, perciò, un ampio coinvolgimento degli organi rappresentativi degli iscritti alle stesse (che, se non sbaglio, nella CGIL di Ferrara sono attorno agli 80.000). Un impegno del genere per dare risposte ad un solo cittadino che si espone a titolo personale dovrebbe essere messo in moto ogni giorno, vista la gran mole di commenti che girano sulla stampa.

Col mio intervento volevo soprattutto porre l'attenzione sui principi di fondo dell’obiezione di coscienza che, per me (ma non solo: ad esempio Papa Francesco su questi temi è, come sempre, molto chiaro) è un valore che viene prima della legge, della prassi e del sentire comune.
Da qui le domande che ho posto. “Esiste un coscienza buona che obietta contro quello che non piace al pensiero dominante ed una coscienza “cattiva” che esprime un pensiero critico? La morale va a scatti e cambia a seconda dell’oggetto che riguarda?” su cui ho avuto delle risposte.
Molto chiara quella di Ilaria Baraldi secondo cui si tenta forzosamente di accostare l'obiezione al servizio militare all'obiezione di medici e farmacisti nell'esercizio delle loro funzioni. Ciò è poco sensato. Le obiezioni sono tutte diverse perché diverso è ciò verso cui si obietta.”
La riposta, fra le più moderate, è precisa e, soprattutto, ha avuto un notevole consenso facilmente riscontrabile sulle varie pagine web: la considero rappresentativa del “sentire comune” e la assumo come risposta chiara alle mie domande.
Le possibili obiezioni sono determinate dall’obiettivo che hanno e non dal principio che le genera (quello che io colloco al livello della coscienza).
E’ evidente che ci si trova di fronte a diverse visioni dell’uomo e del mondo: ed è altrettanto evidente che ancora oggi affermare il primato della coscienza sulla legge è una dichiarazione inaccettabile o, nella versione più “soft”, poco sensato.

A non farmi sentire totalmente fuori dal mondo ha contribuito la posizione del Movimento Nonviolento che, attraverso Daniele Lugli, riconosce e concorda con la mia intenzione di una "difesa, senza se e senza ma, dell'obiezione di coscienza anche dei ginecologi".


Purtroppo nessuno, invece, ha detto qualcosa sull’obiezione professionale che, citata esplicitamente, potrebbe riguardare lavoratori impegnati in attività collegate alle armi e alla guerra. Ricordo l’intervento di un segretario nazionale della FIOM–CGIL un anno fa all’incontro pubblico “Un’altra difesa è possibile”: correttamente segnalava che l’industria bellica è quella che cresce di più e produce ricerca, innovazione e occupazione. Improponibile parlare di riconversione e men che meno di obiezione di coscienza.
Mi piacerebbe che la CGIL di Ferrara (magari insieme a CISL e UIL) facesse un’indagine sul rapporto fra produzione (industriale e di servizi) e collegamento diretto o indiretto col mercato della guerra. Da qui potrebbe partire una riflessione su come si può concretizzare il diritto a lavorare secondo conoscenza e coscienza.

Infine non mi sottraggo da una riflessione sull’applicazione della Legge 194/78.
L’urgenza per tutti di dire qualcosa è venuta certamente dal pronunciamento del Comitato Europeo dei diritti Sociali del Consiglio d’Europa che è stato reso noto lo stesso giorno in cui i giornali locali hanno pubblicato il mio intervento. La gran parte degli interventi, anche esplicitamente in risposta a me, è basato su cifre che tendono a dimostrare che l'obiezione di coscienza impedisce una corretta applicazione della 194. 
I dati riportati dall'Ass. Sapigni confermano invece che sul nostro territorio le interruzioni avvengono regolarmente e, in altissima percentuale, in tempi rapidi.

 Io aggiungo come spunto di riflessione il dato che a me, personalmente, ha sconvolto: a Ferrara e provincia ogni quattro bambini concepiti tre nascono e uno subisce un'interruzione volontaria di gravidanza. Il rapporto è peggiore di quello nazionale che si attesta su un aborto ogni cinque gravidanze.
Davvero si può dire che l’aborto non è sufficientemente accessibile?
L’IVG dovrebbe essere un intervento straordinario: che si verifichi nel 25% delle gravidanze mi sembra un dato che dà uno spaccato quanto meno preoccupante della società ferrarese. Sbaglio a farmi delle domande su questo?
Un così alto rapporto percentuale di IVG fa temere una mancata applicazione della 194 che, non a caso, si chiama “Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza”.
Spesso si dimentica che legge prima di tutto promuove la tutela della gravidanza. Il testo stesso prevede che i consultori “assistono la donna in stato di gravidanza (…) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza.” Tutto ciò anche attraverso associazioni di volontariato “che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita.”
Se una gravidanza su quattro viene interrotta è evidente, secondo me, che la legge non raggiunge i suoi obiettivi di tutela.

Come famiglia affidataria abbiamo avuto il grande regalo di poter accogliere in casa nostra neonate da “parti anonimi” e accompagnarle verso le famiglie adottive: mi fa piacere pensare che tutto questo è possibile grazie ad incontri che hanno permesso una lettura attenta dei bisogni delle madri. Mi vengono i brividi a pensare che con un atteggiamento sbrigativo verso la soluzione medica queste bambine non sarebbero mai nate.
Poi mi chiedo se nemmeno uno degli oltre 800 bambini non nati in un anno nella nostra provincia non avrebbe potuto nascere grazie ad una migliore tutela e accompagnamento verso e dopo la nascita. Sono pensieri antistorici, contro i diritti delle donne?
Io, per quello che valgo, mi sento provocato a pensare ad un modello di società più accogliente in cui ognuno da il suo contributo di solidarietà: sindacati, associazioni, istituzioni, organizzazioni religiose, partiti politici, medici obiettori, circoli culturali, società sportive, centri sociali… possono dare spazio e risorse per una serie concreta di interventi attivi per ridurre la percentuale troppo alta di bambini concepiti e non nati? Fosse uno in meno all’anno sarebbe già un risultato: se fossero cento sarebbe un grande segno di speranza per il nostro territorio e un esempio da proporre in Italia e, perché no, in Europa.

Patrizio Fergnani, singolo cittadino obiettore di coscienza

Chi ha paura dell'obiezione di coscienza? (12 aprile 2016)

INVIATA ALLA STAMPA LOCALE IL 12 APRILE 2016

Nel messaggio per l'8 marzo di Annalisa Felletti (assessora pro tempore alle pari opportunità del Comune di Ferrara) avevo trovato un infelice (a mio avviso) riferimento all’obiezione di coscienza.
Ero in dubbio se dire qualcosa: in fondo l'indifferenza con cui quel passaggio è stato accolto poteva essere sufficiente a relegarlo nei "non pervenuti".
Mi dispiaceva la strumentalizzazione negativa dell’obiezione di coscienza, ancora di più mi sentivo colpito personalmente rivivendo la tensione del vero e proprio processo a cui ero stato sottoposto dai carabinieri incaricati di indagare la profondità delle mie convinzioni. A pensarci bene la “patente” di obiettore di coscienza è uno dei titoli che mi sono conquistato sul campo, uno dei pochi che non scade: ha a che fare, appunto, con la coscienza e non cambia col tempo o con i ruoli.

Non ho alcun incarico politico (e nemmeno tessere di partito in tasca) e la stagione in cui ricoprivo cariche sindacali si è chiusa già da 10 anni: un mio intervento non può essere che personale (e quindi poco interessante).
Semplicemente, perciò, mi sono imposto una giornata di digiuno nel silenzio delle mie domeniche da “badante”. Un digiuno con una molto flebile analogia con quello di Gandhi nel 1914: lui digiunò 7 giorni per espiare la colpa di un'allieva di cui era educatore, io uno solo per un'amministratrice della mia città. Per me la questione poteva finire lì.

Purtroppo, come temevo, l’uscita della Felletti non era un elemento isolato ma il segnale di un pensiero che è ben presente in alcuni elementi che governano la nostra città e da cui nessuno finora ha preso le distanze.
Per questo mi sento ora in dovere di intervenire proprio in quanto persona toccata da questo attacco non più isolato all’obiezione di coscienza.

La frase della Felletti è questa: “Tanti, troppi i capitoli aperti senza un lieto fine, dalla violenza di genere al mancato rispetto delle leggi sull'interruzione di gravidanza e all'obiezione di coscienza; dalla disoccupazione al lavoro precario che di fatto rendono impossibile la maternità”

E’ possibile nel 2016 citare l’obiezione di coscienza come un capitolo aperto senza lieto fine? Definirlo un problema che impedisce un corretto sviluppo sociale, metterlo sullo stesso piano della violenza di genere, della disoccupazione, del lavoro precario o, addirittura, un elemento che rende impossibile la maternità?
Solo i regimi totalitari hanno paura della coscienza delle persone.
Esiste un coscienza buona che obietta contro quello che non piace al pensiero dominante ed una coscienza “cattiva” che esprime un pensiero critico?
La “non omologazione” non è forse il valore di fondo dell’obiezione di coscienza?
La morale va a scatti e cambia a seconda dell’oggetto che riguarda?

Avrei voluto leggere qualcosa anche da parte del Movimento Nonviolento di Ferrara per capire se condivide questa visione dell’obiezione di coscienza o non pensa che la coscienza vada sempre e comunque rispettata.

In quanto obiettore di coscienza mi sento discriminato dall’assessora che dovrebbe tutelarmi e che ai percorsi contro la discriminazione ha dedicato un’enfasi non secondaria.
Nella mia personale storia di obiettore di coscienza ho imparato che quando cominci non ti fermi più: contro il servizio militare, contro l’uso delle armi, contro le spese militari fino alle scelte quotidiane nell’educazione dei figli naturali, in affido o in affiancamento.
In questa sequenza sono sicuro che se fossi medico obietterei contro l’aborto, se fossi farmacista farei altrettanto, se fossi un insegnante chiamato ad andare contro la mia coscienza farei lo stesso.
So per certo che ogni volta che la coscienza si accende e ti chiede di andare contro la legge o il pensiero dominante è un’espressione di libertà che chi comanda non capisce.
Una libertà che si paga, come l’ha pagata Maurizio Saggioro, che ho conosciuto personalmente, rifiutandosi di produrre componenti legati all’industria bellica.
Quelli che scrivevano le cose che scrive la Felletti erano gli intolleranti di destra, stavano dalla stessa parte dei cappellani militari che risposero a Don Milani o, semplicemente, dalla parte di chi non accetta che la coscienza viene prima di ogni legge.
Probabilmente la Felletti è la degna erede dei compagni della FGCI che negli anni della mia obiezione di coscienza al servizio militare mi criticavano perché l’esercito era un’occasione di sviluppo per il “popolo” e in quanto tale andava sostenuto.
Anche oggi non è raro che la militanza politico-ideologica impedisca di accogliere la carica di libertà di pensiero che è insita nell’obiezione di coscienza.

Sento il dovere morale (potrei dire “di coscienza”) di divulgare questi appunti che avrei tenuto per me se non avessi letto dell’interpellanza di Ilaria Baraldi sui possibili farmacisti obiettori.
L’attacco alla libertà di coscienza assume nuovi connotati: oltre alla Felletti anche la Baraldi la pensa come il proconsole Dione che ha fatto giustiziare Massimiliano di Tebessa, primo obiettore che non rispettava la legge.
Parte la caccia al farmacista obiettore: spero venga trovato e punito sulla pubblica piazza rendendo evidente chi crede nella libertà e chi ha paura della coscienza delle persone.
Poi aspetteremo la prossima categoria di obiettori da perseguitare, in ossequio all’intollerante pensiero liberticida che ci circonda con la finta espressione di chi tenta di accreditarsi come difensore dei diritti.

Patrizio Fergnani (obiettore di coscienza)