25 marzo 2022

91


Questa settimana il gioco del "mettersi nei panni degli altri" potrebbe offrire spunti interessanti.
Si può leggere su La Voce di Ferrara-Comacchio e qui di seguito.

                                                      91

Nel 1991 in un corso di formazione ho sperimentato la tecnica del "mettersi nei panni degli altri": utilizzare diversi punti di vista da cui interpretare una situazione. Un esercizio semplice, ma di grande utilità in diversi ambiti. Fra i testi proposti c'era anche la parabola del " figliuol prodigo".

Quel giorno provai a immedesimarmi nel figlio più giovane. Mi sembrava quello in grado di portare più novità, di sperimentare, sbagliare e trovare la forza di rientrare in sé stesso. Probabilmente l'esempio di come è la vita di tanti di noi.

Anni dopo ho vissuto un periodo in cui mi sentivo più forte, sicuro di me e di cosa volevo dalla vita. In quel periodo (in verità piuttosto breve) la mia attenzione si è fissata sul fratello più grande: un uomo affidabile che, per un commento molto umano e condivisibile seguito da uno scatto d'ira, si trova richiamato da suo padre.

Vedendo poi crescere i miei figli mi è venuto quasi spontaneo vedermi nei panni del padre. Ho scoperto addirittura che la parabola si può anche definire del "padre misericordioso".

Oggi nel disorientamento in cui mi ritrovo mi appare la fantasticheria bizzarra di provare a leggere la vicenda dal punto di vista di chi, comunque vadano le cose, è destinato ad essere una vittima: prima i maiali che si vedono rubare le carrube da chi dovrebbe accudirli e, successivamente, il vitello grasso che viene ammazzato. È solo un espediente letterario da utilizzare con molto rispetto. Può aiutare a ricordare che il punto di vista delle vittime innocenti spesso non è preso in considerazione. Può servire?



 

19 marzo 2022

90

Tra paura che paralizza e speranza di essere portati "su ali d'aquila"  il 90 propone uno spazio in cui provare a prendere decisioni.

La "fantasticheria sul Vangelo della domenica" pubblicata su La Voce di Ferrara-Comacchio con questo testo:

                                                   90

Gesù prima ci invita a convertirci, poi ci lascia ancora un po' di tempo per decidere se prenderlo sul serio oppure no. La pedagogia di Gesù è all’avanguardia e si colloca tra l’urgenza e l’attesa nel rispetto della persona con cui si è in relazione.

La stessa idea mi suscita il 90, il numero di questa fantasticheria. 

Secondo “la smorfia” 90 è la paura. Oggi è certamente la paura che paralizza e ci fa rinchiudere in noi stessi di fronte a scenari terrificanti. Non è quindi la paura “positiva”, quella che mette in moto la nostra creatività per trovare soluzioni nuove a vecchi problemi, quella che potrebbe, se condivisa in maniera ampia tra i potenti e le persone comuni, superare una volta per tutte la guerra.. Già così il 90 coi pone davanti ad una scelta.

Mi viene poi in mente un altro 90: il salmo con questo numero, un testo di speranza e liberazione. Citato dal tentatore nel vangelo del 6 marzo: oggi mi torna alla mente nella versione del canto "Su ali d'aquila". So le difficoltà di questo brano per noi “chitarristi da parrocchia”: spesso mi sono trovato ad aggiustare la tonalità per adattarla alle voci della comunità faticando a trasporre alcuni accordi non così comuni.

Oggi a metà della Quaresima il pensiero può provare a volare leggero, davvero su ali d’aquila, verso la liberazione della Pasqua.

Per ognuno di noi è scritto che “ai Suoi angeli ha dato un comando, di preservarti in tutte le sue vie. Ti porteranno sulle loro mani, contro la pietra non inciamperai.”

 

12 marzo 2022

89

Mi ero illuso che i muri, una volta crollati, non venissero più ricostruiti.
Credevo che la pace si sarebbe diffusa spontaneamente.
Come Pietro davanti alla trasfigurazione sono rimasto stupito e inerte.

Il testo integrale della "Fantasticheria"  su La Voce di Ferrara-Comacchio 

Mi arriva davanti il numero 89 e rivivo le emozioni di quell'anno incredibile. 
Il 9 novembre 1989 ero a casa in permesso studio: preparavo l'esame di Metodologia della Ricerca Sociale” con Alberto L’Abate, un grande uomo della nonviolenza non solo italiana.

Ho pianto vedendo per TV i primi colpi di piccone che abbattevano il muro di Berlino. Erano lacrime di stupore, come quello di Pietro di fronte alla trasfigurazione.

Oggi sono sconvolto dalle immagini dei bombardamenti e penso che, sempre come Pietro, prima dormivo e, poi, non sapevo quello che dicevo.
Non sono in grado di vivere la trasfigurazione, anticipo della risurrezione, incarnandola nella pratica quotidiana contro ogni forma di violenza.

Il 9 novembre 1989 ero a casa in permesso studio: preparavo l'esame di Metodologia della Ricerca Sociale” con Alberto L’Abate, un grande uomo della nonviolenza non solo italiana.

Non ho saputo diffondere una vera pratica di pace: nel tempo ho fatto l’abitudine a convivere con oltre 30 guerre presenti nel mondo. 
Forse mi ero illuso che la pace si potesse diffondere naturalmente e sono rimasto ad aspettarla fermo nelle capanne sulla montagna: quelle che Pietro auspicava per vivere “in pace” lontano dalle disgrazie quotidiane.
Non ho seguito Gesù a valle: sono un cristiano tiepido, probabilmente incapace di vivere pienamente la fede che dichiaro di avere.

L’esempio di Gesù e la testimonianza concreta di persone come Alberto L’Abate aprono alla speranza e ricordano che la sfida della pace si realizza ogni giorno con atti concreti individuali e collettivi.
La mia (nostra?) incapacità e incoerenza ottengono l’effetto contrario che oggi è sotto gli occhi di tutti.




 

6 marzo 2022

88


In questo periodo è difficile fantasticare: si rimane senza parole.
La tentazione di chiudersi nel silenzio è forte: poesie, canzoni, racconti hanno ancora senso? 
Rimango pienamente nelle mie contraddizioni proponendo una mia canzone.
Questo il testo della "Fantasticheria" n.88 su La Voce di Ferrara-Comacchio

                                            88

Gesù riesce a sconfiggere il diavolo: eppure, mentre scrivo, la guerra (da sempre presente sulla terra) è ai confini di casa nostra.

Non è facile fantasticare quando sai che persone amiche scappano nei rifugi per sfuggire ai bombardamenti.

Recentemente sono stato stimolato a scrivere canzoni per la “giornata della memoria”. Una delle tre che ho scritto riprende l’idea che di fronte alle grandi tragedie che consumano l’umanità non ha più senso scrivere poesie, canzoni, racconti.

È una sensazione vera, la stessa descritta dal salmo 137 a cui si è ispirato Quasimodo per “Alle fronde dei salici”.

Ho fatto i conti e mi sono accorto che 88 persone, fra audizioni private e manifestazioni pubbliche, l’hanno ascoltata: ecco il testo, mi rappresenta in questi giorni di deserto.

                       Io non avrò

        RIT. Io non avrò più lacrime da VERSARE

        Io non avrò più VERSI da CANTARE

        Io non avrò più CANTI da DONARE

        e DONI da portare.

        Io non avrò più cetre da SUONARE

        Io non avrò più SUONI da SOGNARE

        Io non avrò più SOGNI da ABBRACCIARE

        e ABBRACCI da gustare.

Ho cercato le parole nel vuoto profondo che mi è cresciuto dentro:
nemmeno l’eco mi ha risposto. 
Muto è rimasto il mio canto. RIT

Ho cercato l’acqua nel fiume riarso a cui passavo accanto:
nemmeno una goccia mi ha nutrito.
Secco è rimasto il mio pianto. RIT

Ho cercato la luce nel giorno grigio che ho attraversato:
nemmeno una scintilla mi ha guidato.
Spento è rimasto il mio sguardo. RIT