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Nel 1991 in un corso di formazione ho sperimentato la tecnica del "mettersi nei panni degli altri": utilizzare diversi punti di vista da cui interpretare una situazione. Un esercizio semplice, ma di grande utilità in diversi ambiti. Fra i testi proposti c'era anche la parabola del " figliuol prodigo".
Quel giorno provai a immedesimarmi nel figlio più giovane. Mi sembrava quello in grado di portare più novità, di sperimentare, sbagliare e trovare la forza di rientrare in sé stesso. Probabilmente l'esempio di come è la vita di tanti di noi.
Anni dopo ho vissuto un periodo in cui mi sentivo più forte, sicuro di me e di cosa volevo dalla vita. In quel periodo (in verità piuttosto breve) la mia attenzione si è fissata sul fratello più grande: un uomo affidabile che, per un commento molto umano e condivisibile seguito da uno scatto d'ira, si trova richiamato da suo padre.
Vedendo poi crescere i miei figli mi è venuto quasi spontaneo vedermi nei panni del padre. Ho scoperto addirittura che la parabola si può anche definire del "padre misericordioso".
Oggi nel disorientamento in cui mi ritrovo mi appare la fantasticheria bizzarra di provare a leggere la vicenda dal punto di vista di chi, comunque vadano le cose, è destinato ad essere una vittima: prima i maiali che si vedono rubare le carrube da chi dovrebbe accudirli e, successivamente, il vitello grasso che viene ammazzato. È solo un espediente letterario da utilizzare con molto rispetto. Può aiutare a ricordare che il punto di vista delle vittime innocenti spesso non è preso in considerazione. Può servire?
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