31 ottobre 2011

AbeceDIARIO africano: un piccolo video

Adesso c'è anche un video, con musiche dal vivo e immagini della Nyumba Ali...niente di speciale, fatto con una piccola macchina fotografica.
Per chi ha voglia di vederlo si trova su YOUTUBE

28 ottobre 2011

AbeceDIARIO africano: tutte le foto sul web!

E' disponibile l'album fotografico integrale del mio soggiorno africano: si trova a questo indirizzo web
Fatemi sapere se lo vedete e se è possibile lasciare commenti sulle singole foto.
Con calma ("pole pole") inserirò le didascalie.

21 ottobre 2011

AbeceDIARIO africano: finalmente la ZETA!

20 ottobre

Z come Zawadi

Scrivo di Zawadi nell’ultima puntata del mio AbeceDIARIO in cui, come si vede, ho usato solo le lettere dell’alfabeto italiano: quello che ho studiato da bambino, quello che coincide coi giorni del mio viaggio.

Ho avuto la fortuna di vedere in anteprima un filmato di circa tre minuti su Zawadi e la vita del Centro Diurno della Nyumba Ali. E’ il frutto della presenza di un professionista che ha girato e montato un “corto” sicuramente bello e ricco di stimoli (e praticamente gratis, che non è poco!).

Voglio fargli pubblicità per cui ordino a colei che “non si impone ma dispone” (vedere il commento alla lettera L) di inserire in un commento al blog il suo nome.

Il filmato non è immediatamente disponibile perché parteciperà ad alcuni festival del settore: facciamo il tifo per lui, aspettiamo i risultati e successivamente la massima diffusione soprattutto sul web.

Dei bambini del centro voglio parlare poco soprattutto perché sono sicuro che ne avremo notizie da chi ha più competenze di me.

I capitoli che stanno scrivendo grazie alle persone (italiane e tanzaniane) che si prendono cura di loro e promuovono lo sviluppo delle loro capacità sono il preludio di un racconto più ampio che, sono sicuro, proporrà avventure inedite.

Ho solo in mente alcuni nomi (forse nemmeno giusti) di piccoli compagni di semplici giochi e di difficili segni di affetto: Pio, Piter, Priva, Stevin, Josephin, Patrick, Beta, Salesia, Upendo, Joshua…e qui la mia memoria si arrende. Con loro le Dade protagoniste di un percorso di formazione che le ha rese corresponsabili di un progetto davvero nuovo: Zula, Salome, Tumaini, Maria.

Già che ci sono completo la formazione della squadra delle “donne Nyumba Ali” citando Suku la guardiana che aiuta anche coi bambini, l’esperta Mpenda in cucina (in ferie per tutto il mese di ottobre e sostituita da Janet giovane tirocinante della scuola di cucina di Suor Adolfina), e Deborah che al pomeriggio aiuta in casa e da una mano con Viki e Mage. Credo di averle nominate tutte: se ho dimenticato qualcuno abbiate pietà.

Zawadi, come si sa, vuol dire dono.

L’ultimo regalo di questa esperienza è stato il viaggio di ritorno insieme a suor Marta (al secolo Valeria Accorsi, classe 1946 – ho compilato per lei i moduli per uscire dalla Tanzania) della Visitazione l’esperienza bolognese cresciuta attorno a Don Giovanni Nicolini http://www.famigliedellavisitazione.it/wp/chi-siamo/la-storia .

Mi è stata affidata (!) dato che è sorda dall’età di 9 anni. Siamo una bella coppia: la suora, che ama cucire, con l’essenziale saio e velo marrone e lo spilungone che, al suo secondo volo, deve ascoltare gli annunci in lingua straniera anche per lei.

Suor Marta è sorda ma non muta, anzi: parla più che volentieri ed è un piacere ascoltarla nella forza delle sue storie in cui fede e carità si sposano con l’umile lavoro quotidiano.

Più difficile è farsi capire da lei: legge il labiale quindi bisogna starle davanti e parlare lentamente. L’effetto di ciò è che sono sbarcato a Bologna col collo quasi bloccato per stare girato verso di lei, ma non è un problema, sono giovane e posso riprendermi in fretta.

Durante il terzo e ultimo decollo della giornata ho cominciato a credere nel miracolo. Quando l’aereo raggiunge la quota stabilita e si slacciano le cinture basta deglutire e le orecchie si aprono…in cuor mio ho lanciato una piccola preghiera a Dio: “sai che colpo di scena?” gli dicevo. Peccato, forse sugli aerei della KLM bisogna pregare in olandese.

L’ultimo fotogramma di questo diario vede noi due arrivare a Bologna accolti dalle nostre famiglie: i miei al gran completo casualmente accanto da un gruppetto di suore col saio marrone. Dopo un abbraccio collettivo nell'atmosfera un po’ ovattata dell’aeroporto, ci allontaniamo verso le nostre case. A questo punto non si vede apparire la parola "fine" e nemmeno i titoli di coda perché nulla finisce qui.

AbeceDIARIO africano: penultima puntata, lettera V

19 ottobre

V come Viki…Mage e Ageni

Ci sono situazioni quotidiane a cui presti attenzione solo quanto ti mancano, un po' come il fazzoletto da naso di cui senti il bisogno quando non lo trovi più. Così le tre ragazze che abitano la Nyumba Ali mi appaiono adesso, in questa calda serata a Dar Es Salaam, proprio mentre mi rendo conto che già da oggi (fino alla prossima occasione) ho iniziato a entrare in altre case dove loro non ci sono.

Viki è l’incontro che ognuno dovrebbe fare una volta nella vita: incredibile nel suo essere fuori da ogni schema.

Tutto passa attraverso la bocca, soprattutto il cibo che, nel suo caso, è rappresentato da qualsiasi cosa riesce ad afferrare: la combinazione mano-bocca è capace di produrre effetti devastanti ad una velocità che non si riesce a calcolare né a prevedere.

Attraverso la bocca passano anche le sue comunicazioni col mondo: suoni indefinibili che noi, comuni mortali, cerchiamo di catalogare fra versi in animali ignoti e rumori industriali (certamente il trapano elettrico) ma, in realtà sono unici sulla terra (non esco dai confini del nostro pianeta: una teoria che sta via via prendendo piede sostiene che Viki è un extraterrestre, la camminata identica a quella di E.T. ne sarebbe la prova evidente)-

Sempre con la bocca Viki esprime il suo affetto in sorrisi, smorfie e baci-aspirapolvere che, se non si trasformano in morsi, lasciano segni indelebili nel cuore dei pochi fortunati che hanno provato questa esperienza (e io sono uno di quelli).

Bruna sostiene che Viki è la prova dell’esistenza di Dio che attraverso lei ci ricorda che non possiamo vivere da soli: io non arrivo così in alto ma, nel mio piccolo, ho maturato il sospetto che lei ci sta studiando e ci ha già capito molto bene mentre noi, forse a causa di un eccesso di teorie e diagnosi, siamo ancora lontani dalla risposta.

Mage …la principessa.

In ogni casa dovrebbe esserci una come lei, qualcuno che ti accoglie sempre con un sorriso che diventa facilmente una risata solare. Secondo le più accreditate ricostruzioni storiche, se esiste la Nyumba Ali è merito suo che, proprio col sorriso di cui sopra, ha fatto scattare una molla speciale in Bruna e lucio e, dopo di loro, in tanti altri.

E’ solo da ieri che non la sento ridere mentre racconta a tutti che le arrivo vicino gridandole “apana” con la voce da orso. La risposta immediata è “Kaka Patrizio…!”e poi in poche parole descrive le mie marachelle nei suoi confronti.

Non mi vergogno a dire che mentre scrivo, qui sull’aereo per Amsterdam, piango come uno stupido o, più correttamente, come un deficiente (che è la diagnosi per le persone come Mage): persone a cui manca qualcosa (alla lettera) ma capaci di regali inattesi.

E’ lei che vive accanto a Viki e, con un fiuto speciale, appena qualcosa non va fa scattare l’allarme. Credo che molte volte nel caso delle crisi epilettiche l’allarme di Mage abbia evitato problemi più seri a Viki.

Tra poco arriverà il pranzo della Kenyan Airways: nulla a che vedere con le “specialità” della Nyumba Ali…la cosa che mi manca è la preghiera di Mage con la lista di tutti i partecipanti (presenti e non) e l’immancabile movimento delle mani a ricordare tutti oltre i limiti della memoria, del tempo e dello spazio.

Ageni dice che sono matto e io la prendo sul serio (dimostrando, quindi, di non essere proprio così matto): la quantità di sofferenze e ostacoli che ha già dovuto superare in meno di sedici anni le danno l’autorità di emettere giudizi attendibili.

Come tutte le adolescenti Ageni sfugge ad ogni definizione rigida:

· è quella che canta appena alzata o quella che tiene il muso la sera?

· è quella che inventa storie e giochi di parole o quella che finge di suonare la tastiera?

· è quella che segue rigidamente le usanze tanzaniane o quella impegnata nella “lotta di classe” contro il profe ignorante che quando non sa più cosa dire picchia gli studenti?

Con lei ho fatto il bagno nell’Oceano Indiano inventando il “tuffo Niuton” (si scrive così), per lei ho ricominciato a scrivere sul pentagramma (e ne è uscito un – bellissimo – brano di 4 battute in do di cui conservo gelosamente la traccia audio dell’esecuzione integrale dell’altro giorno) scoprendo anche gli imbrogli e le astuzie di chi fa finta di seguirti ma invece va per la sua strada.

Ora capisco che la linea della mia storia con Ageni è come un elettrocardiogramma, pieno di alti e bassi ma comunque collegato al cuore. Come tutte le linee irregolari potrà sembrare più dritta guardata da lontano, con occhio più distaccato e meno acquoso di quello che ho adesso.

18 ottobre 2011

AbeceDIARIO africano: lettera U...

18 ottobre

U come...

Ultima sera nella Nyumba Ali.

Confesso che sono un po' triste per la partenza e commosso per la cena (fra le più intime del mio soggiorno qui, eravamo solo in otto): iniziata col “pilao” (!) avanzato a pranzo si è chiusa con due sorprese...le frittelle africane (non ricordo il nome) preparate da Ageni e il “bunet” specialità delle grandi occasioni fatto da Lucio. Insieme alla crostata alla marmellata di Papaya portata da Giorgia per il pranzo posso dire che chiudo il mio soggiorno africano anche con grandi soddisfazioni alimentari. Queste si aggiungono alle emozioni, suggestioni e riflessioni che non hanno mancato di provocarmi.

E' un po' come entrare e uscire da se stessi vedendo e guardandosi nello stesso tempo, con la fortuna di poter dedicare energie solamente a quest'impegno: un vero regalo di cui sento di non essere l'unico destinatario. Spero di aver potuto iniziare a condividerlo con altri anche attraverso questo blog (i numeri del contatore e i commenti, soprattutto su facebook, danno segnali positivi).


Anche oggi non sono mancate le esperienze forti con la visita in mattinata a Tosamaganga, località che per qualche tempo ha rappresentato un centro in grado di competere con Iringa per importanza.

Ancora adesso la presenza dell'ospedale in cui opera il Cuamm lo rende un punto di riferimento significativo. Questa volta siamo entrati nell'ospedale ed ho verificato di persona non tanto la qualità dell'assistenza (su cui non ho competenze) quanto la particolarità delle forme di assistenza. Innanzitutto per ogni ricoverato c'è almeno un'altra persona che lo accompagna non tanto e non solo per stargli vicino quanto per fargli da mangiare e lavare la biancheria. Qui gli ospedali non hanno alcun tipo di mensa così i cortili attorno sono pieni di donne che accendono fuochi per cucinare per i propri ricoverati. Accanto ai fuochi altre aree sono dedicate al lavaggio dei vestiti mentre i corridoi accanto alle sale di degenza sono pieni di stuoie arrotolate su cui i parenti passano la notte.

Sul retro dell'ospedale è sorto nel tempo un vero e proprio mercato in cui, chi è arrivato di corsa senza attrezzarsi prima, può trovare tutto quello che gli serve: dalla pentola per cuocere ai vestiti, dai generi alimentari alla radio...niente di straordinario, è il modello “ospedale – città” che si è affermato anche da noi.

L'incontro casuale con Michele, un giovane chirurgo italiano che resterà qui per sei mesi, conferma l'impegno della comunità internazionale a mantenere buoni livelli di assistenza sanitaria confermati anche dai lavori di ristrutturazione di alcuni reparti.

Dall'ospedale si entra in una strada che costeggia il fiume:il verde rigoglioso della zona conferma il motivo per cui questa zona ha potuto svilupparsi. Qui, come in gran parte della Tanzania, i primi occidentali ad arrivare sono stati i tedeschi che hanno importanti alcune piante di eucalipto che adesso formano vere e proprie foreste altissime. E' strano, per me, pensare ai tedeschi in queste regioni, ancora più incredibile scoprire che una parte della prima guerra mondiale fra inglesi e tedeschi si è combattuta anche qui.

Lo stile germanico si respira nella grande piazza che domina la cittadina: da un lato la grande chiesa con due torri, dall'altra la sede del più grande istituto di suore della regione...un palazzo alto che sembra più una caserma che un luogo di formazione e preghiera.


Poco lontano orfanotrofio e scuola materna gestite dalle stesse suore della “caserma” ci riportano al mondo dei bambini che ci accoglie ovunque e che qui si materializza nei pochi che non stanno dormendo e che ci corrono incontro. Dal bambino di un mese con la madre morta nel parto a quelli di quattro anni che dormono insieme su una grande stuoia a terra, si contano oltre 100 presenze: figli dell'abbandono, dell'aids, della miseria...alle 11 stavano già dormendo dopo il pranzo; spero che la caserma in cui le suore crescono non rappresenti anche lo stile con cui viene gestito l'orfanotrofio.


U come Utopia e Ugali

Metto insieme le parole che parlano di sogni apparentemente irraggiungibili e della polenta (ugali, appunto) perché trovano una singolare sintesi nel dottor Carlo Lesi, medico nutrizionista di Bologna (spero di aver scritto bene) in pensione ed attualmente impegnato nel condurre a termine la costruzione della diga a Madege insieme all'associazione S.C.S.F. Di Bologna. Dopo una visita ai bambini del centro con importanti consigli sull'aspetto dell'alimentazione e della deglutizione (supportati dal confronto con Giorgia che, oltre a cucinare crostate alla papaya, è qui come logopedista interessata agli stessi argomenti), Carlo (che è già stato qui) si ferma a pranzo con noi e ci ragguaglia sulla diga che ha assunto i contorni di un'impresa quasi titanica ma che sembra incanalata (è il caso di dirlo) verso una conclusione non troppo lontana.

Vale la pena di saperne di più sul sito dell'associazione che qui spiega il progetto della diga e qui propone un diario di viaggio di questi giorni con molte analogie col mio


Ora non so quanto e se potrò ancora scrivere: le valigie sono già chiuse e domani otto ore di auto ci porteranno a Dar per accogliere altri due amici della Nyumba Ali che, dopo la mia partenza alle 5.10 del mattino, verranno qui per dare una mano. Così è la storia di accoglienza di questa e di altre case: la concretezza di un modo di vivere aperto, con le ali, nella semplicità e nell'attenzione agli altri: Uno stile che non dipende dal luogo in cui si vive ma dalle scelte che ognuno di noi decide di fare...in Italia e in Tanzania.

Finirò comunque questa mia impresa che, senza essere una diga, ha comportato un certo sforzo...la V e la Z mi guardano sornione e con aria di sfida dalla parete alle mie spalle: riuscirò a domarle, abbiate fiducia.

17 ottobre 2011

AbeceDIARIO africano: lettera T

17 ottobre

T come TEMPO

Ora si sente più forte nell'aria l'annuncio del ritorno: oggi e domani saranno le ultime giornate piene ad Iringa, poi il 19 servirà per avvicinarci a Dar dove alle 5.10 partirò e, dopo uno scalo a Nairobi e uno più lungo ad Amsterdam, arriverò a Bologna alle 22.15 (scrivo queste informazioni sperando che qualcuno dei miei le legga e si ricordi di venirmi a prendere a Bologna...).

Il tempo va e riempie le valigie di oggetti: all'andata furono 23 kg di pannoloni sostituiti, al ritorno, da prodotti locali da mettere in vendita per sostenere la Nyumba Ali (scrivo queste informazioni per cominciare a fare un po' di pubblicità, magari qualche lettore del blog è interessato...).

Ed è tempo che parli delle persone venute dall'Italia che in questi giorni hanno girato intorno alla “Casa con le ali”.

Valeria, Paola e Daniele hanno costituito l'equipe che ha gestito il corso di cui tante volte ho parlato. Vengono da parti diverse dell'Italia (Fabriano, Savona, Napoli) e in questi due anni hanno maturato un affiatamento invidiabile sperimentando direttamente quella che qualcuno ha definito “contaminazione culturale”: la capacità di mettere al servizio di altre culture le proprie conoscenze ricevendone stimoli altrettanto importanti. La pubblicazione degli atti dei moduli formativi in kiswahili promossa (come tutti i corsi) dalla Nyumba Ali sarà un altro tassello importante a cui stanno già lavorando con la collaborazione di Padre Josè che supervisiona la traduzione.


Ai primi di ottobre è apparsa Giorgia, studentessa di Vicenza che prepara la tesi in logopedia. Anche per lei applicare la teoria dell'Università di Padova alla realtà concreta dei bambini del Centro Diurno è un impegno gravoso anzi, forse impossibile, se non a prezzo di un cambio completo di prospettiva: partire dai bisogni veri di questi bambini e ripensare su di loro strategie personalizzate su cui, forse, si potrà consolidare una base teorica. Forse dico delle stupidaggini ma le dico dopo quasi venti giorni di vita accanto a Viky, la dimostrazione vivente che ci sono situazioni non comprese in nessuna classificazione.


L'ultima arrivata è Anna, di cui ho già parlato. Anche lei ha chiesto di fare esperienza qui dando una mano e si è inserita bene sia durante il corso sia nella vita quotidiana del Centro Diurno e della Nyumba Ali. Peccato si sia presentata cantando una versione inascoltabile di quello che resta del “fungo velenoso” dopo essere stato stravolto dagli scout...non è tutta colpa sua ed ho apprezzato il suo entusiasmo (non poteva essere altrimenti, se vuole restare da queste parti!) quando ieri le ho fatto sentire la versione originale di cui sono il vero autore.


Rileggendo sembra che Nyumba Ali sia diventato un albergo: in realtà queste 5 persone di cui ho appena parlato hanno altre sistemazioni trovate grazie alle loro passate esperienze in zona: ci si trova insieme sul lavoro giornaliero, a pranzo e qualche volta a cena.


Abitano invece qui, nelle due stanze accanto al Centro Diurno, Francesco e Miriam che svolgono il Servizio Civile per un anno attraverso un progetto di Ibo di Ferrara qui potete saperne di più

Vedendoli ormai a pochi mesi dalla fine di un lungo anno posso solo immaginare quanti ostacoli abbiano dovuto superare: credo che per loro si tratterà di un'esperienza da cui sarà difficile prendere le distanze.

Sarà ancora questione di tempo, forse l'unica cosa che è uguale qui come in tutto il mondo: i secondi si susseguono senza la logica del “pole pole” ma nemmeno della corsa sfrenata che spesso non conduce da nessuna parte. Il tempo è quello, lo stesso che – in questo viaggio nella memoria – amavo calcolare da bambino quando, frutto degli esperimenti didattici di mia sorella, già a 7 anni moltiplicavo 60 X 60 X 24 X 365 X 100 per sapere quanti secondi ci sono in un secolo (senza considerare gli anni bisestili).

La domanda ora è: quanti secondi mi serviranno domani per far stare tutto nelle mie due valigie grandi?

AbeceDIARIO africano: lettera S che occupa molto Spazio

16 ottobre

S come STRADA

Ancora una volta la strada ci porta a Mgongo, stavolta per la messa domenicale. La comunità si raduna nei posti consueti all'interno della chiesa costruita come un esagono irregolare con due lati più lunghi che formano una punta a indicare e contenere l'altare. Il coro delle donne è subito pronto a sostenere quella che mi è sembrata la vera differenza fra qui e la mia esperienza italiana: la partecipazione col canto e col ballo, una partecipazione fisica che rende la liturgia una vera festa. Io stesso che non capivo nulla di quello che si diceva mi sentivo parte di una vera celebrazione collettiva. Finalmente ho conosciuto Padre Franco dei Missionari della Consolata: da quarant'anni vive la sua vocazione fra i poveri del mondo e la scuola professionale con annessi laboratorio che ha messo in piedi qui è un importante punto di riferimento per la formazione di tanti giovani. Alcuni di loro sono qui, li avevo già incontrati alla festa di fine corso per le assistenti: occupano i posti in fondo a sinistra. I bambini del villaggio con cui ieri ho fatto quattro risate guardando una assurda telenovela tanzaniana (con sottotitoli in inglese) sono nella zona centrale.

I chierichetti hanno tuniche coloratissime mentre sei bambine in bianco e giallo attorno all'altare accompagnano ogni canto con balli specifici, diversi da quelli del coro che balla per tenere il ritmo del canto. Fedele al mio ruolo di “mzungu curioso” ho registrato tutti i canti senza farmi vedere (grazie al mio piccolo registratore portatile di cui ho già parlato) e ho registrato anche Ageni che, con bella cadenza, legge la lettera di Paolo. Non penso che tutte queste registrazioni (solo oggi ne ho fatte 63) potranno avere qualche esito pratico...mi accontento, al solito, di tenere traccia di questa esperienza: foto, video, suoni e pagine scritte (queste).


Al pomeriggio ancora strada, ancora verso Mgongo e poi oltre quando l'asfalto lascia spazio allo sterrato e trasforma la nostra auto in un distributore di polvere.

Prima meta la casa dell'altra nonna di Ageni in un villaggio apparentemente disperso fra chilometri di terra rossa, pietre e alberi secchi nell'incredibile altopiano della regione di Iringa. In distanza da ogni parte si vedono montagne di un'altezza interessante, considerando che tutta la zona pianeggiante si trova già al di sopra dei 1.600 metri.

Scherzando fantastichiamo fra di noi ipotizzando di aprire un rifugio su una delle cime più rocciose: sentieri da trekking attrezzati e pernottamento (ovviamente a costi altissimi) per attirare qualche bianco danaroso in cerca di emozioni esotiche: menù fisso “Mpala na Ugali” (il corrispettivo di capriolo con polenta). Affidiamo l'idea a chi la vuole sposare: prima di imbarcarsi in simili avventure, però, si consiglia una visita in loco, persino Anna di Forlì, giovane scout con grandi capacità di adattamento che ci sta dando una mano in questi giorni con la sua competenza in campo educativo, alla fine non sembrava molto convinta.

Lungo la strada si intravvedono anche le case da cui provengono Viky e Mage... è incredibile quest'ultima che ogni giorno smentisce la diagnosi che l'avevano bollata come totalmente incapace: oggi ha riconosciuto la sua casa d'origine in distanza.


Lasciata Ageni dalla nonna e dai sui parenti (su cui vari gradi non mi addentro dato che tutte le zie sono mamme e tutti i cugini sono fratelli o qualcosa di simile) ci allontaniamo di qualche chilometro verso Isimani dove incontriamo un'altra esperienza di cooperazione internazionale: “Casa Nostra” (Nyumba Yetu): un vero e proprio villaggio dei bambini con dieci casette colorate e ben tenute in cui trovano ospitalità giovanissimi orfani e sieropositivi. La pulizia e la cura dell'ambiente saltano agli occhi e generano un po' di stupore: è l'unico caso che conosco di struttura di accoglienza con la coda al cancello per entrare e non per uscire.

L'idea è quella di proporre il meglio creando un esempio che possa fungere da traino anche per altri, e comunque si trova espressa meglio sul sito di riferimento

Confesso la mia piccola delusione quando, al solito, ho chiesto ai quaranta bambini del centro di cantare una canzone che poi la registravo col mio infernale MP3 e loro si sono esibiti in una canzoncina italiana evidente frutto dei vari gruppi che si succedono per campi di lavoro al Centro.

Incredibile l'incontro con Luciana, volontaria di Portomaggiore (a 20 km da casa mia a Ferrara e poco lontana anche dalla “Casa con le Ali” in Tanzania) anche se attraverso un'associazione di Faenza (qui il sito)


A proposito di canzoni oggi a Isimani c'era una chitarra con tutte le corde e accordata: ho finito col cantare il Blues del fungo velenoso che, qui in Africa, assume una nuova connotazione semantica (!).


Da bravo ferrarese in trasferta non potevo non avere nel mio bagaglio musicale qualcosa di Andrea Poltronieri. La scelta è caduta sul brano storico “Gino lavora al Famila”...nella casa e nella macchina sta rapidamente scalando la hit parade, e si appresta ad entrare nei circuiti radiofonici.

Personalmente lascerei intatto il testo e cambierei solamente i “radic” che qui non sono molto noti e andrebbero sostituiti dalle “mcicia” la verdura più diffusa.

S come SANA

Sana in kiswahili significa “molto – tanto”, unito alle parole serve a rafforzarne il valore...”Asante sana” : “molte grazie, grazie tanto”.

Molto, tanto è quello che sto ricevendo da questa esperienza che quindi è “sana” in due lingue.

16 ottobre 2011

AbeceDIARIO africano: lettera R

15 ottobre

R come RADICI

Enrico viene da Gorgonzola e, proprio come il formaggio della sua terra, mi è piaciuto subito.

Da sedici anni è qui per accogliere ragazzi di strada: maltrattati, allontanati, trascurati, con quelle forme di affido fatte più col cuore che con la carta bollata tipiche dell'Associazione Giovanni XXIII. Parlare con lui stamattina è stata una di quelle rare occasioni per andare alle radici dei problemi e delle scelte. Le sue analisi, frutto di un'esperienza probabilmente unica, sono precise: non tagliate con l'accetta dei cosiddetti “esperti" ma piuttosto scavate nel profondo dalla passione che, come dice la parola stessa, è un insieme di entusiasmo e di sofferenza. La fede profonda e la tenacia umana sono i binari su cui il treno della sua vita sta camminando.

Non voglio metterlo su un piedistallo, lui per primo non vorrebbe: mi piacerebbe solo che altri potessero conoscerlo meglio, anche di come è capitato a me. Per questo l'ho invitato a mettersi a scrivere, perché la ricchezza della sua storia possa circolare ed essere condivisa di più; io, attraverso un piccolo diario, posso solo riportare stati d'animo e riflessioni a caldo.

Le radici sono anche quelle che ti legano alla terra dove sei nato: radici tagliate come quelle dei due ragazzi aggrediti e uccisi l'altra notte sulla strada da Iringa a Mgongo, uno per essere derubato di due sacchi di carbone, l'altro che passava per caso per non poter testimoniare contro gli aggressori; radici mai piantate come il bambino di una ragazza, sempre di Mgongo, morto prima di nascere nonostante la corsa all'ospedale; radici che stanno crescendo grazie alla consapevolezza delle donne che oggi, sempre a Mgongo, hanno finito il livello avanzato del corso di formazione e dalla prossima volta potranno essere loro stesse a trasmettere conoscenze e capacità alle loro colleghe che iniziano.

Tutto ciò si interseca sulla strada verso il villaggio di Mgongo (che vuol dire “schiena, dorso”), strada percorsa molte volte in questi giorni forse alla ricerca del giusto carico da portare e del giusto peso da proporre agli altri.

Non posso poi dimenticare le mie radici, la mia storia, i miei sogni che non sono solo miei ma che cerco di condividere a partire da chi li conosce meglio di chiunque altro. Penso a mia moglie da cui non sono stato mai così lontano e per così tanto tempo, penso a radici che grazie a lei possano prendere le ali e, superando le leggi della natura, prendere il volo. Era un'espressione che girava qualche anno fa (forse una frase di qualche autore famoso): avere insieme le radici per stare saldi e le ali per volare: ali come quelle della casa dove mi trovo adesso.

15 ottobre 2011

AbeceDIARIO africano: lettera Q

14 ottobre

Q come QUINDICI

Da quindici giorni sono partito dall'Italia e potrei anche tentare un primo bilancio di questa esperienza africana. Non credo di volerlo fare: non so se e quando arriverò tracciare una riga sotto cui sotto cui riportare somme e conclusioni.

Sono convinto che è molto importante tenere sempre aperta la porta della raccolta di stimoli e la finestra della riflessione, è pericoloso, invece, avvicinarsi al lucchetto delle etichette. Non ritengo di andare oltre le reazioni a caldo, che mi piace registrare su questo diario alfabetico.

Spesso la necessità di arrivare rapidamente alle conclusioni (forse uno dei limiti del mio modo di vivere attuale, nella vita “normale”) toglie occasioni di approfondimento e di ulteriore conoscenza. Vivo così tra giudizi affrettati che confermano i “pregiudizi” (che, in quanto tali non si basano su nulla), e tensioni inutili causate dalla mancanza di dialogo.

Qui tutto va “pole pole” ed è certamente un grande limite, ma potrebbe anche essere una formidabile opportunità o, come nel mio caso attuale, una specie di privilegio inatteso.

Non è tempo di bilanci e non so quando lo sarà, per adesso mi accontento solo dei lanci o degli slanci o, magari, dei rilanci...per non parlare degli agganci come quello di oggi con la gente del villaggio di Mlolo.

Approfittando della festa (purtroppo solo per Nyerere, dall'Italia arrivano notizie di segno “radicalmente” apposto) siamo andati a trovare la nonna di Ageni nel villaggio dove la ragazza è cresciuta (appunto Mlolo). E' meglio approfittare della stagione secca: quando arriveranno le piogge la strada sarà un fiume in cui anche i fuoristrada faranno fatica..

Gli uomini non si sa dove siano, le donne sono nei campi resi fertili dal vicino fiume portando legati sulla schiena i piccoli, gli altri bambini in grado di camminare sono sparsi a gruppi nel circondario. Attenzione: questo succede solo oggi che la scuola è chiusa...uno dei punti cardine della riforma di Nyerere è stato proprio quello di dotare ogni villaggio di una scuola elementare che anche qui, fra le case di terra rossastra, si presenta lungo la strada con edifici ad un piano in mattoni. Il problema poi è che tante scuole andrebbero dovuto esser riempite di maestri almeno alfabetizzati, capaci di usare i libri oltre al bastone.

La nonna di Ageni, Maurizia, è una donna indubbiamente molto allegra, la stessa allegria che l'ha resa inaffidabile nella gestione di una famiglia. Nonostante ciò è inserita nel villaggio che le consente di trovare soluzioni quando i pochi soldi che riceve si liquefano, letteralmente, sotto forma di birra (a proposito: le birre della Tanzania sono veramente invitanti...se avessi le valigie vuote al ritorno ne porterei a casa qualche bottiglia piena).

In un attimo sono apparse altre donne, bambini, ragazze, un'altra donna apparentemente millenaria e, alla fine, anche un paio di uomini. C'era da salutare Ageni e da accogliere ospiti.

Bello toccare con mano il senso profondo di ospitalità di questa gente: era evidente che nonna Maurizia (che avrà pochi anni più di me) non poteva ospitarci a mangiare da lei, ma con un rapido giro tra le galline del cortile ha raccolto sei uova che ci ha regalato (uno per ognuno di noi: Bruna, Lucio, Patrizio, Ageni, Mage, Viky...l'allegra famigliola in gita).

Ora nella memoria di questa giornata c'è spazio per quell'uovo, accanto alla camminata fra i campi, gli immancabili giochi coi bambini, il colore rosso delle case fatte con mattoni di terra cotta, i canti inventati e i balli improbabili dove le mie scarpe numero 49 sbattevano sulla terra alzando tanta polvere quanto i piedi nudi degli altri partecipanti.

Nella taccuino del mio intimo dove conservo le tracce di questa giornata c'è anche posto per le crisi epilettiche (per fortuna lievi) di Viky, il pollo con patatine nel piccolo ristorante fuori città e la serata casalinga in cui per accontentare la passione per il musical di Ageni abbiamo proiettato sul muro Jesus Christ Superstar. Io avevo preparato la visione cantando con la mia famosa voce da basso il brano di Caifa “...we need a more permanent solution to our problem...”: ripensandoci adesso mi sembra una frase, fuori dal contesto, molto importante: quando troveremo una soluzione ai nostri problemi?

13 ottobre 2011

AbeceDIARIO africano: lettera P

13 ottobre

P come PROSPETTIVA

E' notte alta e sono sveglio....” vorrei finire questo capitolo del mio abeceDIARIO prima che sia domani in Italia (qui in Tanzania la mezzanotte è già passata) per poter celebrare là come qua una giornata di festa. Qui è festa nazionale per l'anniversario della morte di Nyerere: il leader dell'indipendenza della nazione, un uomo politico di grande levatura capace di muoversi sui palcoscenici del mondo con una integrità indiscussa. Addirittura ho scoperto qui che è a buon punto la sua causa di beatificazione.

Farò festa per Nyerere e mi piacerebbe poter celebrare anche la liberazione dell'Italia da un presidente del consiglio e dai suoi scagnozzi che incarnano esattamente il contrario di quello che uomini come il primo presidente della Tanzania rappresentano...chissà!

A parte queste divagazioni dovute alla distanza dall'Italia e causate dalla difficoltà di provare a spiegare agli africani cosa succede in Italia (e anche loro ci ascoltano con una strana smorfia...) oggi ho avuto una giornata ricchissima dal punto di vista degli stimoli religiosi e culturali per cui la parola “prospettiva” significa sia slancio sul futuro che punto di vista sul presente.


Bruna mi ha accompagnato a Saba Saba il laboratorio scuola per ragazze madri dove, tra visite al telaio e acquisto di prodotti artigianali, ho potuto conoscere un altro pezzo della storia di affrancamento delle donne di questo paese. Fra loro anche la sorella di Mage che viene seguita nel centro proprio grazie alla Nyumba Ali, perché il futuro di entrambe le sorelle possa essere di piena autonomia.

Affermare un ruolo diverso per le donne non sarà un percorso facile e nemmeno breve, ma le premesse sembrano buone...oltre le scorciatoie di una delle assistenti del centro (quindi senza figli) che vedendo un bell'uomo come me mi ha proposto di diventare la mia seconda moglie seguendomi in Italia.


Nello stesso quartiere un gruppo di donne del movimento dei Focolari hanno promosso un altro laboratorio artigianale ed un centro pomeridiano per bambini difficili (una specie di “Arcobaleno” di Iringa).

Il movimento fondato da Chiara Lubich è da sempre presente (fra alti e bassi) nella mia esperienza personale: oggi sentire Micol, una ragazza del Burundi, spiegare in un ottimo italiano cosa significa promuovere l'unità all'interno dell'economia di comunione (quindi non vivendo di assistenza ma producendo utile con intelligenza e competenza) mi ha fatto rivivere incontri passati di cui stavo perdendo la memoria.

Nel pomeriggio altre occasioni irripetibili.

Innanzitutto ho fatto da consulente a Lucio e Bruna per la stipula del contratto con la nuova agenzia che garantirà la sicurezza notturna della casa a partire dal 16 ottobre. Analizzando il testo in inglese (che nessuno legge mai) abbiamo individuato frasi ambigue di cui nemmeno il proprietario della ditta si era mai accorto. Corrette quelle abbiamo firmato e, cosa per me incredibile, io stesso ho messo la mia firma come testimone per l'avvenuta sottoscrizione formale. Non so che valore possa avere ma la stesura definitiva ci è costata più di due ore di attesa...ora nemmeno le mosche potranno avvicinarsi alla casa di notte dato che sono garantiti guardiani insonni.

Infine l'incontro con la cultura indiana rappresentato da una famiglia benestante (gestisce un ristorante di alto livello) che da qualche tempo sostiene la Nyumba Ali con contributi e donazioni. Nel portare loro un regalo di Bruna dall'Italia noi fratelli Fergnani siamo stati invitati a fermarci da loro per la preghiera del giovedì sera. “Dio è uno e noi possiamo pregarlo insieme” ha affermato la nonna dall'alto della saggezza dell'età e della salda fede che ha attraversato anni e nazioni.

Siamo così entrati in un vero e proprio tempio indù in una casetta a lato dell'abitazione principale. Tra colori vivaci, statue, quadri, suoni, incensi profumati abbiamo partecipato alla preghiera: un canto continuo ritmato con strumenti a percussione e battito di mani, una litania sonora cantata da bambini, adulti ed anziani nell'invocazione di quel Dio che forse non va cercato ma semplicemente accolto.

Non so se questo è il senso giusto di intendere l'unità: per me, che ho la fortuna di vivere così questo momento, è il tentativo di raccogliere tutto in attesa di provare a “scremare il meglio” (operazione che non si fa in fretta e nemmeno da soli...).

Ho finito ed il 14 ottobre è già iniziato anche in Italia: buon Nyerere Day a tutti.

Piccolo pezzo di abeceDIARIO extra: arriva inatteso senza lettera.

Anche il mio prodigioso piccolo registratore MP3 (che tengo sempre in tasca) non riesce a catturare i suoni che, come una lieve filigrana, fanno da sfondo al disegno di queste giornate.

Siamo su una lieve collina di fianco alla città e da ogni parte arrivano voci di bambini che, dopo aver cantato a squarciagola l'inno nazionale all'inizio delle lezioni, a cadenze regolari si fanno sentire nell'intervallo fra ore di lezione in cui il silenzio è rotto da ripetizioni mnemoniche a voce alta e bastonate punitiva da parte degli insegnanti.

Anche i rumori del traffico, in verità non troppo invasivi, arrivano a intermittenza soprattutto a causa di camion frettolosi, sovraccariche corriere di linea e strombazzanti Dala Dala.

Il vento deciso di questi giorni fa muovere le foglie: niente di straordinario, è così in tutto il mondo. Ciò che rende speciale l'evento è che accade “in questo momento in questo posto”: dato unico e irripetibile valido anche in Viale Krasnodar, a Sambuca Pistoiese, ad Acquaviva d'Isernia (solo per citare località non a caso).

Su questo sottofondo ricamano gli uccelli: coi loro diversi suoni tra cornacchie ossessive e pseudo merli subequatoriali, sono probabilmente la novità inattesa di questi giorni (insieme al canto continuo che sottolinea il passaggio di Ageni per la casa).

Ad orari cadenzati arrivano le acclamazioni del muezzin , mentre nel tardo pomeriggio comincia il frastuono di una non ben definita setta cristiana che suona musica a tutto volume interrotta dalle urla esagerate del predicatore che invita tutti a convertirsi. Il sant'uomo, apparentemente in preda ad una crisi isterica, grida una sequenza davvero biblica di alleluja con una voce roca degna del miglior James Brown.

La mia dotazione tecnologica mi fornisce anche di una cuffia con cui potrei isolarmi dai rumori – suoni entrando nel solito universo della mia musica preferita: mi rendo conto che si tratta non solo di una fuga ma di una serie di occasioni perse e preferisco reimparare qui a farmi stimolare ogni giorno da suoni nuovi.

13 ottobre 2011

AbeceDIARIO africano: lettera O

12 ottobre

O come OPPORTUNITÀ

Stamattina visita al sito preistorico di Isimila Stone Age poco lontano da Iringa: se avete voglia di leggere qualcosa, su questo sito Parchi trovate notizie sintetiche (un po' troppo da turisti fai da te ma servono a capire).

Per uno come me cresciuto all'ombra della Montedison vedere le torri naturali di questo sito preistorico è stato come risvegliare il ricordo delle ciminiere in una cornice naturale di assoluta solitudine.

In mezzo a questo panorama storico scavato dal fiume, infatti, c'eravamo solo io e Lucio (come al solito guida attenta e paziente) ed anche questo è stato impressionante: non ho potuto fare a meno di pensare a come posti simili siano sfruttati dalle nostre parti con folle di turisti che si trascinano in mezzo ai capolavori naturalistici per poi chiudersi nel negozio di souvenir o nel bar al centro del parco.

Credo ci debba essere una via di mezzo fra lo stato di quasi abbandono che si trova qua e l'eccessivo sfruttamento: mi sembra comunque una grande fortuna (opportunità) aver potuto vivere oggi questa esperienza, prima di vedere le insegne della Coca Cola all'ingresso e le audio guide generosamente fornite ai turisti dalla Nokia.

L'altra OPPORTUNITÀ' speciale è stata quella di partecipare alla serata finale del corso di Mgongo: per l'occasione siamo partiti davvero tutti lasciando vuota la “casa con le ali”. Dopo l'ottima cena preparata dalle cuoche del centro (dei Missionari della Consolata, questo il loro sito) c'è stata la parte ufficiale con la consegna dei diplomi di fine corso seguito dal discorso di circostanza del responsabile dei servizi sociali. Dopo la proiezione di alcuni brevi filmati realizzati durante il corso la serata è passata nelle mani delle “ragazze” che hanno iniziato a cantare ballando (o ballare cantando) canzoni con parole scritte per l'occasione, canti religiosi e musiche da ballo.

Un'apoteosi...ho registrato tutto il possibile ma non mi è facile comunicare la freschezza e l'allegria che queste donne trasmettono cantando senza mai staccare il ballo dal canto stesso. Alla fine anche io mi sono messo a ballare dimostrando invece, coi fatti, che non è poi così facile unire suoni e gesti in modo armonico.

Queste donne concludono un'esperienza fortissima: un terzo modulo da 10 giorni vissuti insieme nelle lezioni, nelle prove pratiche, nei giochi, nei confronti con gli esperti ; ma anche nella vita quotidiana e nelle notti vissute insieme nelle camerate del centro di Mgongo.

Si è creata amicizia e complicità e, ripensando alle mie esperienze, sembrava di essere alla fine di un campo scuola.

Per alcune di loro una vera occasione di riscatto ed anche un'opportunità di stare per un po' lontane dai problemi quotidiani fatti di difficoltà crescenti e di sottomissione agli uomini.

Queste donne guardano avanti e costruiscono un pezzo importante del futuro del loro paese: in più cantano e ballano con una partecipazione contagiosa che ha trascinato anche Viky che, apparentemente, si direbbe che viva in un mondo tutto suo.


L'ultima OPPORTUNITÀ che voglio cogliere è di scrivere una breve poesia in cui ogni verso comincia con la lettera O. Eccola.

Oggi

Oppure forse

Ogni giorno, incontro

Occasioni per

Ospitare nel cuore

Occhi che mi invitano ad

Osare in questa

Ora.

Osservo,

Offro,

Opero

O resto fermo?



11 ottobre 2011

AbeceDIARIO africano: lettera N, aria di casa

11 ottobre

N come NYUMBA

Nyumba vuol dire casa ed oggi per me è stata la giornata più casalinga da quando sono qua. Ho dedicato tempo ad alcune cose che si rimandano nell'attesa che qualcuno ci pensi e nella convinzione che quando sarà il momento basterà poco. Il caso è quello di recuperare da un vecchio pc portatile con windows 98 (senza poter usare porte usb, floppy e cd) le storie che Zawadi ha scritto con la sua tastiera “a piede”, stamparle, consegnarle alla mamma che veniva a prenderlo e conservarne una copia informatica per usi futuri.

Io ho capito poco del materiale su cui lavoravo ma i brani che mi sono stati tradotti sono davvero straordinari, frutto della volontà di un ragazzo di 12 anni che ha avuto la capacità di costringere chi lo incontrava a rispondere alle sue richieste. Così adesso scrive: brevi racconti, lettere, pagine di diario fra cui quella in cui racconta il suo recente battesimo citando il suo padrino Francesco.

In mattinata sono rimasto in casa anche per consentire a Bruna e Lucio di andare insieme a discutere importanti questioni sulla sicurezza della casa. Ho così accolto il referente regionale dei servizi sociali che inseguivamo da una settimana nel suo ufficio: oggi è venuto di persona.

Mentre aspettavamo ho fatto quattro chiacchiere (si fa per dire...) con lui mescolando i nostri inglesi “professionali”. Ho cercato di fargli capire che lavoro anche io nello stesso campo ma lui non ha fatto altro che lamentarsi che non ci sono soldi per fare tutto quello che sarebbe necessario.

Come dargli torto? I soldi mancano...o meglio, forse non seguono i canali giusti. Lo stesso funzionario, infatti, per mettere la firma sugli attestati che domani saranno consegnati alle donne che finiscono il terzo modulo del corso per assistenti a bambini e disabili chiedeva un “aiutino” confermando che l'intraprendenza non manca ma non certo per cercare risorse per i servizi.

Tenere duro contro questi fenomeni (come è stato fatto) è un regalo al futuro dell'Africa (e non solo...).


In serata la Nyumba si è riempita per la cena che oltre agli ospiti consueti (Francesco e Miriam volontari di Ibo, Valeria, Daniele e Paola relatori al corso per assistenti) ha visto la presenza degli operatori della Comunità di Sant'Egidio impegnati contro l'Aids nel centro “Dream” di Iringa. (Qui potete leggere bene di cosa si tratta http://dream.santegidio.org/homep.asp?Curlang=IT ).

Gianni, Alessandra, Annarita di Roma e Andreas, lungo medico tedesco con attitudini da cuoco, hanno portato a 15 il totale delle persone a tavola. Sono sempre più colpito dallo stile di questi volontari che intervengono in un campo così impegnativo come quello dell'Aids. Da loro una smentita ad un falso luogo comune nel quale sono caduto anche io (nell'abeceDIARIO del 6 ottobre G come GIOCO): pare che l'Aids sia nato proprio in Africa, quindi non è vero che è stato portato qui dagli occidentali.

Infine una constatazione: la capacità di entrare in sintonia in modo simpatico ma profondo non è un requisito essenziale per fare volontariato, ma riscontrarlo nel 100% delle persone che incontri è un elemento che depone a favore del lavoro dell'intera Comunità di cui fanno parte.

10 ottobre 2011

AbeceDIARIO africano: lettera M...

10 ottobre

M come MACCHINA DA CUCIRE

Stamattina ci siamo svegliati scoprendo che la macchina da cucire che si trovava sotto il portico era stata rubata nella notte. Considerato che la casa ha un guardiano che vigila accanto al cancello il fatto non è per nulla piacevole. E' il terzo furto in pochi mesi ma gli altri oggetti (pneumatici e pezzi di lamiera) si trovavano nel cortile dietro la casa mentre, stavolta, i ladri sono arrivati appena fuori dalla porta d'entrata. Nel portare la refurtiva fuori dal cancello hanno anche fatto cadere i cassetti col filo e altri accessori causando probabilmente un certo rumore.

E il guardiano? Non pervenuto...probabilmente dormiva pesantemente oppure, dice lui, era dall'altra parte del cortile (e non ha sentito se non visto nulla?) o probabilmente era complice dei ladri.

Episodi di questo tipo (non solo in Africa) mettono in discussione i meccanismi della fiducia innescando rincorse a strumenti di difesa che, comunque sia, non favoriscono un diverso modello di società. Cani da guardia (che, ho scoperto, in realtà vengono usati a differenza di quanto ho scritto nella pagina “H come Hodi”) che abbaiano per svegliare i guardiani che altrimenti dormono, filo spinato, cocci di vetro sui muri, guardiani armati...la sicurezza diventa chiusura.

Inizialmente il vero antifurto era Vicky che, così fuori dagli schemi come è, era unanimemente considerata indemoniata, quindi nessuno osava avvicinarsi alla casa dove abitava...ora il paziente lavoro di integrazione ha contribuito a far capire che Vicky è solo vittima di malattie ed abbandono ma è un essere umano: così un risultato positivo ha determinato una presa di fiducia da parte dei ladri.

Il problema rimane aperto e non può essere risolto in modo frettoloso.

Ho ripreso a scrivere di notte: sono l'unico sveglio nella casa e sento chiaramente abbaiare cani in lontananza e, appena fuori dalla finestra dietro di me, russare pesantemente il nuovo guardiano che ha preso il posto di quello della notte scorsa: speriamo bene!

M come MALATTIA

Ho fatto un giro fuori dall'ospedale, in attesa di poterci entrare (anche qui bisogna rispettare gli orari di visita): è sempre accessibile, invece, il pronto soccorso con una coda che arriva anche a due – tre giorni di attesa dopo il momento dell'arrivo in cui la prima cosa da fare è pagare. Sapevo già che anche di fronte alla malattia non siamo tutti uguali: l'amarezza deriva dalla constatazione che chi sta dalla parte sbagliata dello steccato è a sua volta distribuito in categorie determinate dalla mancanza di opportunità.

AbeceDIARIO africano: lettera L (domenica di riflessione)

9 ottobre (domenica)

E' una domenica un po' particolare. A pochi isolati da qui c' è una casa famiglia dell'Associazione Giovanni XXIII (per chi non la conosce quella fondata da Don Oreste Benzi) e nel pomeriggio è atteso l'arrivo di Paolo Ramonda il successore d Don Oreste che si ferma un paio di giorni ad Iringa. Saremo anche noi alla messa pomeridiana con lui e quindi la mattina trascorre tranquilla senza la trasferta a Mgongo per la tradizionale messa domenicale.

In questo momento di calma ringrazio chi mi segue da lontano grazie al web: sto ricevendo davvero tanti segnali che mi confortano; perciò prometto che non oserò più dare un numero ai possibili lettori di questo blog.


L come Lucio Lunghi (vale doppio)

Anche le ali della “Nyumba Ali”per poter davvero volare devono essere due. Lucio, mio cognato, è una di queste ali anche se a volte non si nota come merita. E' sempre stato così, da quando io mi ricordo la sua presenza nella mia vita: Bruna si fa conoscere, si espone e a volte si impone: Lucio è con lei come la presenza costante che garantisce la solidità dell'esperienza.

Lei rilascia le interviste radiofoniche, lui aggiusta la radio...

Qui si dice che Lucio curi la “logistica” che va tradotta in questo modo:

  • costruzione materiale di molte strutture della casa, ultimo il bellissimo gazebo al centro del parco dove i bambini mangiano e usano il computer

  • gestione di tutti i problemi pratici: dall'elettricità all'idraulica

  • attrezzatura e governo dell'orto con esperimenti di avanguardia riusciti (il basilico) o falliti (le zucchine), delle piante da frutto (papaye, banane, passion fruit e – incredibile! - fragole) e delle tre galline che producono uova mignon.

In questi giorni l'ho accompagnato al mercato a comprare frutta, verdura e pesce essiccato per la casa e per la mensa dei bambini, passando tra i vari banchi senza farsi infinocchiare da chi lievita i prezzi solo perché compra un bianco. Lucio parla poco il kiswahili ma si fa capire e rispettare.

L'ho assistito per caricare una quantità industriale di valigie sul tetto dell'auto (io le avrei perse tutte durante il viaggio).

Ha guidato senza battere ciglio nel caos di Dar, poi per 8 ore di seguito da Dar a Iringa su strada asfaltata e per 10 ore, in gran parte sullo sterrato sconnesso, nel giro al parco di Ruaha.

Tutto ciò oltre all'affetto che sprigiona, in quanto “Baba” della casa, nei confronti di Mage, Vicky, Ageni e dei bambini del centro.


Questa è la “logistica” che, come si può capire, non ha nulla a che spartire con la “logica” ma deriva direttamente dall'attitudine che ho sempre conosciuto in lui: quella di una disponibilità generosa che non arretra mai.

Così quando Bruna fa le sue classiche sfuriate per tutte le questioni che non funzionano (e vi assicuro che le occasioni non mancano...) Lucio è lì e a volte viene chiamato in causa non perché si sia tirato indietro ma perché troppo disponibile...proprio perché è davvero così, passata la fiammata le soluzioni si trovano in quel misto di logica e logistica che sono le due ali che formano una coppia che sta contagiando altri con l'idea che si possa davvero volare.


L come Liturgia

Un breve accenno alla Messa nella casa della Giovanni XXIII con Paolo Ramonda.

Padre Josè (che è colombiano) mescola le lingue ed anche i canti variano tra la tradizione africana e il classico repertorio parrocchiale (con pianola e chitarra) in cui mi trovo più a mio agio.

Dopo la Messa si mangia qualcosa insieme e ci si conosce: al solito riscuoto un grande successo per la statura e la misura dei piedi...una ragazza prova ad adottarmi come suo nuovo fidanzato ma io rimango fedele a Mage.

Con Paolo Ramonda faccio la lista di quante persone dell'Associazione (di Ferrara ma non solo) conosco: è incredibile scoprire i fili che legano non solo le vite ma anche i luoghi...e constatare che lui viene da un pese della Val Stura in provincia di Cuneo, la valle su cui mi sono sbizzarrito varie volte in prevedibili giochi di parole.

9 ottobre 2011

AbeceDIARIO africano: lettera I (la giornata al Parco...)

8 ottobre

I come Indescrivibile

Siamo partiti puntualissimi alle 7.02 del mattino in un perfetto quadro da famigliola felice: babbo (Baba) Lucio, mamma (Mama) Bruna...le due fanciulle Agheni (in realtà si scrive Ageni con la G “dura” alla tedesca) e Mage (stessa cosa per la pronuncia) e lo zio imbranato che non può mai mancare. Preso veramente nella parte ho visto caricare sulla macchina (insieme alla carrozzina di Ageni e ai deambulatori di Mage) il classico cestino traforato per il pic nic, mentre mi spiegavano che, appena arrivati sul posto, un Ranger ci avrebbe accompagnato all'interno del Parco.

Accidenti, mi sono detto, finalmente incontrerò Yoghi e Bubu, gli eroi della mia infanzia!

Non nascondo la grande delusione all'arrivo al Ruaha Park, il secondo parco più grande dell'Africa che da Iringa si raggiunge dopo circa 100 km di cui più di 80 di strada sterrata, il Ranger Smith era sostituito da un certo Faraj e di orsi non c'era nemmeno l'ombra. Per questo ho tenuto il muso tutta la giornata e ho giocato in difesa contro questa assurda pretesa di sostituire i falsi miti americani con le reali esperienze africane.

Un'avventura, quindi, indescrivibile su cui si trovano già abbondanti testimonianze con ricchissime documentazioni di fotografi, operatori e narratori competenti e preparati.

Non mi ci metto nemmeno a raccontare le emozioni di stare a due metri da un leone addormentato circondato da sette leonesse di cui una, di guardia, ci teneva d'occhio con fare annoiato, o delle giraffe che attraversano la strada senza rispetto delle zebre (nel senso di strisce pedonali...).

Alle due fedeli lettrici che mi seguono con costanza non dirò nulla dei ballonzolanti facoceri, delle sfuggenti gazzelle, dei pigri ippopotami, degli elefanti per cui non esistono aggettivi e dei Kudu che si trovano solo qui.

Dirò invece delle Jeep del Parco o degli Hotel coi sedili sul tetto (noi, invece, avevamo la normale Toyota della Nyumba Ali) su cui si notavano i classici turisti inglesi in tenuta grigioverde da safari con tanto di cappello a falde larghe verde scuro e macchina fotografica con obbiettivo modello bazooka... oppure gli italiani con vestiti casual firmati e larghi occhiali da sole, o i danesi praticamente in costume da bagno.

Per due volte, poi, incontriamo Philip operatore autorizzato alle riprese nel parco: stile trasandato alla Indiana Jones, sigaretta in bocca (mentre per tutti è proibito fumare nel parco) su una vecchia Land Rover piena di materiale per riprese. Fermo da ore ad aspettare che i leoni si muovessero ci dà alcune dritte per avvicinarci in sicurezza.

Indescrivibile rimane anche il paesaggio: forse non ho le parole per raccontare gli oltre 100 chilometri percorsi dentro il Parco: terra di infinite varietà di colori, rocce bianche e rosate, erbe secche, baobab, acacie, cactus, palme, cespugli intricati. Il verde e l'ombra si fermano attorno al fiume quasi in secca; il resto del Parco invoca le piogge dell'imminente stagione che, si spera, riempirà il fiume come gli altri anni rinverdendo erbe, arbusti ed alberi.

Per farmi capire potrei richiamare le immagini del Re leone che veramente sono state costruite su questi luoghi con gli animali della zona (chi conosceva il facocero prima dell'arrivo di Pumbaa?) ma non voglio ripetere l'errore iniziale di inseguire stereotipi americani. (rileggendo mi accorgo che è impossibile, senza volerlo avevo già citato anche Indiana Jones...e poi, è giusto voler far finta di essere diverso da quello che sono...?).

Vorrei finire qui ma scrivo di mattina e non di notte e ho un po' più di tempo e di mente fresca. Piccoli segni di speranza:

  • Nel Parco non si trova una cartaccia, una sportina di plastica, una lattina nascosta dietro un albero.

  • Nel Parco ci si può fermare anche a dormire in un bel centro di ristoro gestito dalle donne del villaggio

  • Nel Parco i servizi igienici (esperienza diretta) pur con qualche difficoltà sono accessibili ai disabili.

Buona domenica (juma pili njema)

7 ottobre 2011

AbeceDIARIO africano: lettera H, un po' di Kiswahili

7 ottobre

H come Habari

Habari è la formula di saluto in kiswahili:alla lettera significa “notizia”(infatti il telegiornale e un quotidiano si chiamano così) ma di fatto equivale a “buongiorno”. Ricordo che nel secolo scorso il mio amico Don Andrea rimase un po' di tempo da suo fratello Don Silvio in Congo (allora Zaire). Tornato a casa diceva a tutti “Habarigani”, una variante del saluto classico: noi la traducevamo in “A Bari i cani” e la risposta era “A Roma la lupa”...sciocchezze da ventesimo secolo che mi tornano alla mente in questi giorni.

In quegli anni giocavo molto con bambini e ragazzi...facevo l'animatore anzi, con obiettivi ben più ambiziosi, l'educatore.

Oggi sulla terra secca di un quartiere periferico di Iringa mi sono ritrovato a giocare con una ventina di bambini (fra cui Pio e Priva, due ospiti della Nyumba Ali) insieme a Miriam e Francesco i due volontari di IBO che fanno il servizio civile da mia sorella. Fra abili e disabili, svegli e sonnecchianti, maschi e femmine dai due ai tredici anni non è facile trovare giochi da fare insieme per cui ci si divide in piccoli gruppi. Il calcio piace solo ai più grandi che però non disdegnano di usare la palla per una partita a flipper (in cerchio a gambe aperte) nel tentativo di lanciare la sfera sotto le mie gambe: tutti contro uno, in cui ho difeso con perizia il mio onore personale e dell'intera popolazione bianca del pianeta Terra.

Poi basta poco: ho cominciato per caso a indovinare in quale mano i bambini nascondevano un sassolino, un tappo, una biglia..e subito si è fatta la coda per mettermi alla prova. Li guardavo fisso negli occhi per darmi un tono, poi osservavo le mani (da cui spesso si vedeva l'oggetto) e segnavo quella giusta. Ho avuto alte percentuali ma con un paio di bambini e una bambina, già dagli occhi capivo che non avrei indovinato. Soprattutto quello con la maglia della Juventus ormai sbiadita in un “grigio – grigio” nascondeva un ago e una piccola calamita che non trovavo mai. Spero per lui e per tutti che la furbizia dello sguardo non venga spenta e trovi le strade giuste per diventare intelligenza di vita.

Alla fine eravamo tutti pieni di terra secca, un colore che sulla pelle nera risaltava chiaro quasi del colore della mia: forse con un po' di buona volontà e di rotolate nella terra le differenze razziali possono scomparire.

A proposito: la risposta giusta al saluto “Habari” è “Nzuri”

H come Hodi

“Hodi” invece corrisponde a “Permesso? Posso entrare?” ed è il rispetto per la vita degli altri. Così è stato nella casa di Priva quando lo abbiamo riportato a casa dopo i giochi: solo in quel momento ho scoperto che alcuni dei bambini con cui avevo giocato erano suoi fratelli e tornavano a casa con lui...nell'ingresso, poi, c'erano almeno altri tre bambini di varie età e due ragazze adolescenti belle robuste. Un saluto alla mamma fertile, come molte donne di queste parti... sono sicuro che i figli sono sempre un segno di speranza, non so se avranno un futuro garantito (ma questo vale in tutto il mondo). Mi piace però constatare che quando ti avvicini ad una casa ti accolgono veri cuccioli di uomo e non i cani isterici e viziati che in molte delle nostre case hanno preso il loro posto.

Qui i cani non fanno nemmeno la guardia alle case (per quello ci sono i guardiani), stanno randagi attorno alla città e di notte ogni tanto si danno a la voce per ricordare che esistono e che non sono interessati a vivere nelle case e girare a spasso per il centro legati ad un guinzaglio.

Dal canto suo la gente se proprio deve avere animali attorno a casa preferisce capre, mucche e asini.

6 ottobre 2011

AbeceDIARIO africano: lettera G

6 ottobre

G come Gioco

Si tratta di mettersi in gioco, di stare al gioco...di chiedersi a che gioco giochiamo e, soprattutto, rendersi conto di quale è la posta in gioco.

Stamattina, visita alla sede di Iringa della Comunità di Sant'Egidio. Un lavoro attento e capillare sui temi dell'AIDS con un efficiente laboratorio analisi che permette di valutare i livelli di infezione e predisporre cure mirate. Non sono troppo esperto della materia ma credo che anche l'AIDS sia un “regalo” dell'occidente all'Africa: un lavoro serio di informazione, prevenzione, terapia è il minimo che si possa fare. Mi è piaciuto confrontarmi con gli operatori di Sant'Egidio soprattutto perché la lucidità dell'analisi è collegata ad un intervento efficace e misurato sulle singole persone.

Il gioco, allora, in giornate come queste, in posti come questi, è lasciarsi prendere da pensieri troppo grandi giustificati dall'idea che ormai non c'è nulla che accade nel mondo che non sia collegato. Così la crisi di valori di casa nostra si sposa con la paralisi di questi paesi invasi dalle abitudini occidentali senza averle richieste, condivise o conquistate. Tutti hanno il telefonino ma forse non sanno scrivere un pensiero complesso e, soprattutto, abituati a ricevere aiuti che affrontano l'emergenza (il 51% del pil della Tanzania è costituito da aiuti esteri) si accontentano di vivere alla giornata senza grandi prospettive per il futuro.

Forse, in una estrema sintesi, ciò che accomuna Italia e Tanzania è proprio questo “tirare a campare” senza progettare il futuro: la differenza è che qui ci sono potenzialità ancora da scoprire in un popolo giovane mentre da noi, sembra, ci stiamo arrendendo all'idea di diventare un paese “casa di riposo”.

Queste considerzioni sono solo un gioco...non ho strumenti per dimostrare nulla ma forse questo mio viaggio mi sta portando anche a sperimentare (ripeto, per gioco) modalità che di solito non utilizzo.

Poi ci sono altri giochi, quelli di parole: l'anagramma di IRINGA è ARGINI e ritorno a “pensare ad un fiume che se ne va via sicuro, posto fra solidi argini: non avrà mai una crisi. Ma arriva il vento...” come il vento che soffia ora in questa notte africana e agita alberi e coscienze e scopre il velo sulla menzogna che nasconde la corruzione e trasforma la carità di molti in ricchezza per pochi.

Infine c'è il gioco coi bambini nel villaggio...ma quello sarà domani.

G come GUSTO

Ci sono sapori nuovi che mi conquistano...fra questi certamente quelli della frutta, in particolare le banane (che mi sembra di non aver mai mangiato in vita mia) e le papaie che crescono nel cortile della Nyumba Ali insieme alle fragole piantate da Lucio che maturano in questi giorni. Un piacere da gustare nel posto e nella stagione giusta imparando anche a farne a meno quando non è il momento.

Infine il gusto della vita quotidiana nel centro diurno oggi è quello del balletto con le tre Dade (Zula – quella coi due gemelli di 3 mesi-, Salome e Tumaini) prima di portare quattro ragazzi capitanati da Zawadi a Mgongo al corso per operatrici: i loro progressi fanno davvero “scuola” e meritano di essere conosciuti.

N.B. Tumaini da noi è un cognome...qui vuol dire “speranza” quindi è un nome proprio di persona ma anche di istituzioni, fra cui l'Università.

Altre foto sul profilo di facebook sono visibili a tutti a questo collegamento

5 ottobre 2011

AbeceDIARIO africano: lettera F (le altre lettere sono sotto)

5 ottobre

F come FACCE

Sono salito sul pullmino che riporta a casa i bambini del centro diurno: unico bianco, seduto nell'ultima fila con attaccata Beta, 9 anni. Il suo sguardo segna la ricerca di affetto che la violenza subita non ha certo soddisfatto. Zula, una delle tre assistenti del centro, torna a casa con noi insieme ai suoi due gemelli di tre mesi che si porta addosso: uno attaccato al seno, l'altro legato sulla schiena. Qui la pedagogia della prima infanzia è molto semplice; al minimo pianto la mamma zittisce i bambini “sparandogli” in bocca una tetta... poi quando camminano bene imparano a badare a se stessi senza troppi problemi: i consulenti pagati profumatamente per scrivere su riviste tipo “supermamma moderna” qui non ci sono.

Ognuno dei bambini disabili della Nyumba Ali è atteso da un famigliare, il più delle volte un fratello o sorella maggiore e la “consegna” avviene sulla strada oppure appena dentro il villaggio davanti alle case di mattoni fatti con la terra rossa.

Ci vuole quasi un'ora per finire il giro...vedo gli sguardi di chi mi nota, qualcuno mi dice qualcosa, altri sorridono ai miei sorrisi che devono sembrare davvero l'espressione ebete del bianco fuori posto.

Nel viaggio di ritorno il pullmino smette di essere uno scuolabus e diventa un normale Dala Dala con me seduto davanti, accanto all'autista. La gente comincia a salire ed in breve dietro c'è il tutto esaurito. Rimane una ragazza da caricare, timida nei suoi vestiti occidentali, così mi devo spostare praticamente addosso all'autista per farle posto in prima fila.

Per tutto il resto del viaggio, per evitare di franare addosso alla povera ragazza (che già non mi guardava intimidita dalla mia enorme stazza pallida) ho avuto la leva del cambio sotto il ginocchio destro. Più tardi mentre tornavo da un giro in centro, lungo il viale principale, il pullmino mi ha superato e l'autista ha dato un colpo di clacson salutandomi con molto calore: spero non si faccia strane idee...

Poi le facce della gente che mi guardava girare attorno al mercato o davanti ai negozi della via degli indiani: qui sono tutti mediamente bassi di statura ed un uomo di due metri piuttosto pallido è una vera rarità. Io stavo duro come un palo, alternando sguardi seriosi ad espressioni curiose mentre portavo addosso il peso del mondo occidentale: un groviglio indistinto di grandezza e stupidità.

F come FIORI

Iringa circondata da lievi montagne sassose si presenta al termine della stagione invernale (siamo sotto l'Equatore) secca con toni rossastri di polvere alzata dal vento: l'imminente stagione delle piogge riporterà il verde rigoglioso che noi in Europa non conosciamo (almeno così mi dicono).

La sorpresa di questo periodo, per noi Mzungu, è la Jacaranda, un grande albero con stupendi fiori viola. Il viale centrale è un'esplosione di viola, coi fiori che cadono come una pioggia e fanno viola anche la strada. Riescono persino a nascondere un po' gli orribili silos costruiti dagli inglesi per raccogliere il grano: peccato che la fragilità della rete elettrica non permetta ai montacarichi di salire fino in cima per riempirli...restano lì, enormi e vuoti come tante altre strutture, non solo in Africa.

Per chi non bazzica facebook sto mettendo le foto a questo link, potete vedere Jacarande, silos, altri fiori, bambini, strade, mari, etc...

4 ottobre 2011

AbeceDIARIO africano: lettera E

4 ottobre

E come Esperienze

Oggi con Lucio ho fatto la spesa ed un giro nel centro di Iringa: i colori dei vestiti delle donne, i profumi delle spezie, l'odore persistente dell'angolo dove si vende il pesce essiccato o dove si può mangiare qualcosa di cotto al momento sulle immancabili braci di carbone...difficile immagazzinare tutto, altrettanto difficile far finta di niente. Poi la stazione delle corriere con le valigie sul tetto e le persone compresse all'inverosimile: la stessa cultura che produce il carbone con la combustione lenta del legno appena tagliato o conserva il pesce facendolo seccare al sole tratta gli esseri umani facendoli cuocere lentamente sui pullman che li trasportano per ore e ore.

Poco oltre c'è il ritrovo dei Dala Dala: pullmini come quelli delle associazioni di volontariato, delle parrocchie o delle famiglie numerose...qui sono attrezzati con quattro (4!) file di sedili oltre quella dell'autista in cui possono stare sedute fino a18 persone. Per i viaggi corti (cioè anche 100 chilometri!) la gente usa questi Dala Dala che partono solo quando sono pieni, durante il viaggio caricano e scaricano gente in continuazione fermandosi spessissimo. In una regione con ampi spazi liberi gli esseri umani finiscono sempre per ammassarsi in ambienti piccoli...ci sarà un motivo che spiega questo fenomeno?

Per le strade incontriamo alcuni bianchi a proprio agio (quindi non “Mzungu” che significa non solo bianco ma anche “fuori dal contesto”...per usare un giro di parole): medici, missionari, volontari di varie associazioni ...c'è chi sta in villaggi a diverse ore di fuoristrada. Ci si dà appuntamento a breve perché è fondamentale non perdersi di vista e costruire anche qui una rete vera che sia di rispetto reciproco, soprattutto per le persone che vivono qui e qui devono trovare una risposta ai propri problemi.

Altre esperienze incidono il mio cuore: la partita (persa!) a memory con Peter sul computer attrezzato da Francesco Ganzaroli, lo stesso computer con cui Peter scrive frasi usando la comunicazione aumentativa. Leggere il suo “benvenuto Kaka Patrizio” mi ha riempito di orgoglio pensando che quello che è un vero miracolo è possibile grazie a persone appassionate che, fra l'altro, fanno esperienze nei tanto maltrattati (e non conosciuti) servizi comunali della tanto sottovalutata (da chi ci vive) città di Ferrara.

Infine ho ripreso a scrivere musica sul pentagramma...un piccolo brano di due battute per la prima lezione di musica ad Agheni su una tastiera che si srotola lasciata qui da un medico. Lei è sveglia e attenta e già esegue il brano nonostante i limiti dell'insegnante che si esprime in un inglese da liceale. In ogni caso dopo il “tuffo Newton” io e lei stiamo costruendo un brano musicale dando un nome ad ogni battuta...le prime due si chiamano “Habari” (come va?) e “Nzuri” (bene) la formula per il saluto.

Domani altre due battute...ma questa è già una pagina del futuro.

P.S. Kaka significa “fratello” e non ha nulla a che fare con questioni intestinali.

AbeceDIARIO africano: lettera D

3 ottobre

D come Didattica e Donne

Ho accompagnato Bruna all'inizio del corso per operatori di centri con bambini disabili, Probabilmente una delle scelte più azzeccate degli ultimi tempi nata proprio dalla tenacia di mia sorella: aiutare il personale locale che aiuta nei vari centri per disabili della regione (di solito donne) ad avere una maggiore consapevolezza professionale del proprio lavoro.

Si è già completato un primo corso di tre moduli e quello che inizia oggi è il terzo modulo del secondo corso. In totale oltre 40 ragazze stanno facendo un lavoro importante per il bene dei bambini di questo paese.

Gli insegnanti vengono dall'Italia e portano un occhio esperto per favorire osservazione e convinzione.

Dopo il canto iniziale del corso (di cui parlerò ancora), Valeria da Fabriano inizia parlare alle 23 donne presenti; alcune sono stanche dopo due giorni di viaggio, altre arrivano in leggero ritardo ma pronte ad apprendere: padre Josè, il missionario della Consolata della sede di Mgongo dove si svolge il corso, traduce dall'italiano con partecipazione emotiva.

Concetti semplici e forti: lavorare con la mani, il cervello, il cuore...imparare ad osservare ogni singolo bambino che è unico, diverso dagli altri e con bisogni propri.

Il racconto delle esperienze fatte dopo i primi due moduli portano grande speranza: è bastato affrontare meglio il proprio lavoro e bambini escono dall'abbandono, imparano a camminare, mangiano, giocano e cominciano a crescere forti.

Mentre brava gente parte dall'Italia per diffondere nel mondo che ne ha bisogno il senso vero del lavoro a favore dei disabili, a casa loro (nostra) un governo di incapaci ricchi e boriosi sta smantellando lo stato sociale proprio a partire dai più indifesi.

Succederà che fra qualche anno alcune di queste donne che oggi si formano verranno in Italia per ricordarci che il futuro si costruisce iniziando a dare più opportunità ai bambini disabili...lavorando con le mani, il cervello, il cuore.

D come DAVVERO

Davvero sono qui, stamattina ho visto Zawadi scrivere e giocare a Pac Man, ho ballato giocato e mi sono preso a leccate coi bambini del centro diurno. Non so ancora bene i loro nomi ma ho un po' della loro saliva sui vestiti e del loro sorriso nel mio cuore.

Per chi vuole vedere qualche foto, connessione permettendo, provo ad aggiungerle al mio profilo di facebook

AbeceDIARIO africano: lettera B e C

1 ottobre

B come BRUNA

Un viaggio come questo è talmente pieno di cose nuove per me che, davvero, assomiglia ad un viaggio nel tempo. Parlo del mio tempo personale, quello dell'infanzia, del bambino che fa qualcosa per la prima volta; quello che ho condiviso con mia sorella Bruna.

Farsi accompagnare, presentare, magari in kiswahili, dalla sorella grande; raccontare insieme gli episodi della nostra storia familiare quasi con una sequenza teatrale: il teorema di Pitagora, la radice quadrata, l'Odiseea invece delle fiabe.

Poi ritorna la fase che nell'adolescenza mi metteva in crisi d'identità: “Sei il fratello della Bruna”. Allora un po' mi seccava, intento come ero ad affermare me stesso, ora mi ricorda che (almeno per adesso) sto facendo un viaggio nel tempo.


Nel mio ABECEDIARIO potranno entrare anche parole in kiswahili, man mano che le padroneggio un po', senza fretta (“pole pole”). Ecco qua la prima

B come BAJAJI.

Ribattezzati da me “Bagigie” i mini taxi su Apecar infestano Dar Es Salaam infilandosi in ogni buco di un traffico di code a rilento.

E' normale, mi dicono, che nel viaggio verso il nocciolo dell'Africa l'impatto con la buccia sia il meno stimolante. Le grandi città (Dar Es Salaam ha 5 milioni di abitanti) raccolgono il peggio della cultura occidentale e di quella africana. Traffico, smog, autogestione da mancanza di regole suonano come la nota stridula che rovina una tenue melodia.

E questi Apecar aperti con due passeggeri dietro ronzano senza sosta cercando qualcuno da pungere in posti dove non si trovano fiori. E' un pungiglione che richiama ad una realtà stimolante e reale anche se poco piacevole: aiuta a non indugiare troppo sulla ricerca di sogni che forse non esistono.

B come BAGNO...nel mare, nell'oceano indiano.

Dar Es Salaam significa “porto della pace” (anche io, da bravo pacifista, ho un salame all'aglio nella valigia: sottovuoto, pronto ad espandere sulla Tanzania il proprio segnale di armonia) si trova, quindi, sul mare. Basta un po' di coda e di pazienza per trovarsi su una spiaggia morbida di fronte a due isolette.

Lasciata la pioggia del mattino a Dar, il giorno ci ha regalato un costante sole da ustioni subequatoriali. Peccato per il mare mosso che non faceva uscire le barche e colorava il primo tratto di mare del colore noto come “grigio pomposa” dal nome dell'omonimo lido ferrarese.

In lontananza si vedevano il verde ed il blu...la sabbia era bianca e l'acqua comunque meritevole di lunghi bagni insieme all'entusiasmo di Agheni.

Ho lasciato un segno nel futuro della Tanzania inventando il “tuffo Newton” e aiutando un gruppo di pescatori a tirare a riva le reti, pesanti nonostante il magro carico.

2 ottobre

C come Carreggiata

500 km di strada da Dar a Iringa attraverso una delle strade più importanti dell'Africa Orientale sotto l'equatore.

E' domenica, c'è il sole e fa caldo: il giornale radio annuncia che 16 milioni di auto si sono messe in movimento lungo la rete autostradale...problemi nel tratto tra Lodi e Melegnano e Faenza e Imola (anche sulla Ferrara Mare si procede a passo d'uomo...ma questo è un altro problema).

Qui no: sulla strada solo camion, corriere e fuoristrada di organizzazioni internazionali. Lucio guida all'inglese (perché sta sulla corsia di sinistra) ma conduce il mezzo all'africana zigzagando fra gli innumerevoli mezzi in panne e i venditori ambulanti che ti si buttano davanti all'improvviso.

Altrettanto all'improvviso il poliziotto col velox portatile è uscito da dietro il segnale che lo nascondeva per contestarci l'eccesso di velocità (per effetto della globalizzazione i vigili con l'autovelox sono uguali in tutto il mondo): con la stessa prontezza lo stesso Lucio ha imbastito una spiegazione sullo scopo del nostro viaggio ottenendo il condono (per questa sua abilità ha ricevuto dopo poco una chiamata dal nostro Presidente del Consiglio che lo ha nominato avvocato di fiducia e probabile ministro della giustizia).

Ci metterò tempo per riassorbire gli infiniti paesaggi che ho incontrato: villaggi affollati, venditori ad ogni angolo della statale, facoceri, giraffe e scimmie in libertà, baobab che salutano in gruppi affollati, venditori di pomodori e cipolle che ti corrono incontro appena ti fermi, terra incolta, secca, persa e dispersa...gente a piedi o in bici carica di tutto, apparentemente lontanissima da ogni forma di vita.

Poi i grandi sassi che sembrano rotolare giù dalle montagne segnano l'inizio del territorio di Iringa e, dopo qualche minuto, finalmente “La Casa con le Ali”: siamo arrivati.

C come Casa

Scrivo tardi questo mio ABECE-DIARIO: nella Nyumba Ali dormono già tutti. L'arrivo è stato una festa...siamo nella polpa del viaggio. Alla prossima, a D come Domani.


AbeceDIARIO africano: ogni giorno una lettera per chi vuole seguirmi

30 settembre

A come AEROPLANO

Ho fatto il mio primo viaggio in aereo: Bologna – Amsterdam, poi Amsterdam – Dar Es Salaam. Tutto perfetto, orari precisi, controlli regolari e non asfissianti.

Ho retto bene alle fasi di decollo e atterraggio che, tutto sommato, danno meno scossoni del treno locale Ferrara – Bologna delle Ferrovie Padane quando andavo all'università.

Indimenticabile il sole che sorge oltre il mediterraneo in un cielo dai toni di rosso incredibili.

A come AMARILLI

I grandi bulbi (XXL) di questo fiore sono in vendita in mezzo ai tulipani all'aeroporto di Amsterdam. Fiori, formaggi, profumi in una specie di città commerciale all'ombra dei voli di linea.

Al fianco di mia sorella mi sono sentito sempre più un bambino alla scoperta di un mondo ignoto.

Siamo passati davanti al Centro di Meditazione dove si possono leggere libri religiosi, meditare e pregare secondo le diverse usanze. Per chi ne ha la necessità è possibile lavarsi in piedi prima di entrare e operatori specializzati sono disponibili per colloqui.

La fede non specializzata in una sola religione è un segno di progresso? Gesù, Maometto e Buddha si aggirano fra i corridoi dell'aeroporto (e della nostra vita) in attesa di essere chiamati al check – in che permetterà di identificarli.

A come ANCHILOSATO

Avevano ragione tutti quelli che mi avevano messo in guardia: i posti in aereo sono stretti!

Le mie povere gambe nelle 10 ore del volo più lungo hanno sofferto non trovando pace: se le mettevo nel corridoio arrivava puntuale il carrello spinto dalla florida hostess della KLM detta “l'Olandesona”; se le appoggiavo allo schienale davanti non riuscivo più a muovermi e rischiavo di rimanere schiacciato se l'olandese seduto davanti (in viaggio verso il trekking sul Kilimangiaro, uno dei motivi per cui l'aereo era pieno in ogni posto) si appoggiava appena un po' più deciso.

Ho retto comunque, alzandomi appena possibile, guardando mezzo film in inglese coi sottotitoli in olandese, parlando molto con Bruna, sonnecchiando, leggendo, mangiando tutto e accogliendo con entusiasmo i generi di conforto che l'Olandesona col suo ingombrante carrello portava con una certa frequenza.


Alla fine sono qui a Dar Es Salaam, col regolare visto preso all'aeroporto e dopo un viaggio sulla Toyota con la guida a destra guidata da Lucio. Con noi anche AGHENI...ospiti fino a domenica sera del CEFA (andate a vedere il loro sito ).