18 ottobre 2011

AbeceDIARIO africano: lettera U...

18 ottobre

U come...

Ultima sera nella Nyumba Ali.

Confesso che sono un po' triste per la partenza e commosso per la cena (fra le più intime del mio soggiorno qui, eravamo solo in otto): iniziata col “pilao” (!) avanzato a pranzo si è chiusa con due sorprese...le frittelle africane (non ricordo il nome) preparate da Ageni e il “bunet” specialità delle grandi occasioni fatto da Lucio. Insieme alla crostata alla marmellata di Papaya portata da Giorgia per il pranzo posso dire che chiudo il mio soggiorno africano anche con grandi soddisfazioni alimentari. Queste si aggiungono alle emozioni, suggestioni e riflessioni che non hanno mancato di provocarmi.

E' un po' come entrare e uscire da se stessi vedendo e guardandosi nello stesso tempo, con la fortuna di poter dedicare energie solamente a quest'impegno: un vero regalo di cui sento di non essere l'unico destinatario. Spero di aver potuto iniziare a condividerlo con altri anche attraverso questo blog (i numeri del contatore e i commenti, soprattutto su facebook, danno segnali positivi).


Anche oggi non sono mancate le esperienze forti con la visita in mattinata a Tosamaganga, località che per qualche tempo ha rappresentato un centro in grado di competere con Iringa per importanza.

Ancora adesso la presenza dell'ospedale in cui opera il Cuamm lo rende un punto di riferimento significativo. Questa volta siamo entrati nell'ospedale ed ho verificato di persona non tanto la qualità dell'assistenza (su cui non ho competenze) quanto la particolarità delle forme di assistenza. Innanzitutto per ogni ricoverato c'è almeno un'altra persona che lo accompagna non tanto e non solo per stargli vicino quanto per fargli da mangiare e lavare la biancheria. Qui gli ospedali non hanno alcun tipo di mensa così i cortili attorno sono pieni di donne che accendono fuochi per cucinare per i propri ricoverati. Accanto ai fuochi altre aree sono dedicate al lavaggio dei vestiti mentre i corridoi accanto alle sale di degenza sono pieni di stuoie arrotolate su cui i parenti passano la notte.

Sul retro dell'ospedale è sorto nel tempo un vero e proprio mercato in cui, chi è arrivato di corsa senza attrezzarsi prima, può trovare tutto quello che gli serve: dalla pentola per cuocere ai vestiti, dai generi alimentari alla radio...niente di straordinario, è il modello “ospedale – città” che si è affermato anche da noi.

L'incontro casuale con Michele, un giovane chirurgo italiano che resterà qui per sei mesi, conferma l'impegno della comunità internazionale a mantenere buoni livelli di assistenza sanitaria confermati anche dai lavori di ristrutturazione di alcuni reparti.

Dall'ospedale si entra in una strada che costeggia il fiume:il verde rigoglioso della zona conferma il motivo per cui questa zona ha potuto svilupparsi. Qui, come in gran parte della Tanzania, i primi occidentali ad arrivare sono stati i tedeschi che hanno importanti alcune piante di eucalipto che adesso formano vere e proprie foreste altissime. E' strano, per me, pensare ai tedeschi in queste regioni, ancora più incredibile scoprire che una parte della prima guerra mondiale fra inglesi e tedeschi si è combattuta anche qui.

Lo stile germanico si respira nella grande piazza che domina la cittadina: da un lato la grande chiesa con due torri, dall'altra la sede del più grande istituto di suore della regione...un palazzo alto che sembra più una caserma che un luogo di formazione e preghiera.


Poco lontano orfanotrofio e scuola materna gestite dalle stesse suore della “caserma” ci riportano al mondo dei bambini che ci accoglie ovunque e che qui si materializza nei pochi che non stanno dormendo e che ci corrono incontro. Dal bambino di un mese con la madre morta nel parto a quelli di quattro anni che dormono insieme su una grande stuoia a terra, si contano oltre 100 presenze: figli dell'abbandono, dell'aids, della miseria...alle 11 stavano già dormendo dopo il pranzo; spero che la caserma in cui le suore crescono non rappresenti anche lo stile con cui viene gestito l'orfanotrofio.


U come Utopia e Ugali

Metto insieme le parole che parlano di sogni apparentemente irraggiungibili e della polenta (ugali, appunto) perché trovano una singolare sintesi nel dottor Carlo Lesi, medico nutrizionista di Bologna (spero di aver scritto bene) in pensione ed attualmente impegnato nel condurre a termine la costruzione della diga a Madege insieme all'associazione S.C.S.F. Di Bologna. Dopo una visita ai bambini del centro con importanti consigli sull'aspetto dell'alimentazione e della deglutizione (supportati dal confronto con Giorgia che, oltre a cucinare crostate alla papaya, è qui come logopedista interessata agli stessi argomenti), Carlo (che è già stato qui) si ferma a pranzo con noi e ci ragguaglia sulla diga che ha assunto i contorni di un'impresa quasi titanica ma che sembra incanalata (è il caso di dirlo) verso una conclusione non troppo lontana.

Vale la pena di saperne di più sul sito dell'associazione che qui spiega il progetto della diga e qui propone un diario di viaggio di questi giorni con molte analogie col mio


Ora non so quanto e se potrò ancora scrivere: le valigie sono già chiuse e domani otto ore di auto ci porteranno a Dar per accogliere altri due amici della Nyumba Ali che, dopo la mia partenza alle 5.10 del mattino, verranno qui per dare una mano. Così è la storia di accoglienza di questa e di altre case: la concretezza di un modo di vivere aperto, con le ali, nella semplicità e nell'attenzione agli altri: Uno stile che non dipende dal luogo in cui si vive ma dalle scelte che ognuno di noi decide di fare...in Italia e in Tanzania.

Finirò comunque questa mia impresa che, senza essere una diga, ha comportato un certo sforzo...la V e la Z mi guardano sornione e con aria di sfida dalla parete alle mie spalle: riuscirò a domarle, abbiate fiducia.

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