INVIATA ALLA STAMPA LOCALE IL 12 APRILE 2016
Nel messaggio per l'8 marzo
di Annalisa Felletti (assessora pro tempore alle pari opportunità
del Comune di Ferrara) avevo trovato un infelice (a mio avviso)
riferimento all’obiezione di coscienza.
Ero in dubbio se dire
qualcosa: in fondo l'indifferenza con cui quel passaggio è stato
accolto poteva essere sufficiente a relegarlo nei "non
pervenuti".
Mi
dispiaceva la strumentalizzazione negativa dell’obiezione di
coscienza, ancora di più mi sentivo colpito personalmente rivivendo
la tensione del vero e proprio processo a cui ero stato sottoposto
dai carabinieri incaricati di indagare la profondità delle mie
convinzioni. A pensarci bene la “patente” di obiettore di
coscienza è uno dei titoli che mi sono conquistato sul campo, uno
dei pochi che non scade: ha a che fare, appunto, con la coscienza e
non cambia col tempo o con i ruoli.
Non
ho alcun incarico politico (e nemmeno tessere di partito in tasca) e
la stagione in cui ricoprivo cariche sindacali si è chiusa già da
10 anni: un mio intervento non può essere che personale (e quindi
poco interessante).
Semplicemente,
perciò, mi sono imposto una giornata di digiuno nel silenzio delle
mie domeniche da “badante”. Un digiuno con una molto flebile
analogia con quello di Gandhi nel 1914: lui digiunò 7 giorni per espiare la colpa di un'allieva di cui era educatore, io uno solo per un'amministratrice della mia città. Per me la questione poteva finire lì.
Purtroppo,
come temevo, l’uscita della Felletti non era un elemento isolato ma
il segnale di un pensiero che è ben presente in alcuni elementi che
governano la nostra città e da cui nessuno finora ha preso le
distanze.
Per
questo mi sento ora in dovere di intervenire proprio in quanto
persona toccata da questo attacco non più isolato all’obiezione di
coscienza.
La frase della Felletti è questa: “Tanti,
troppi i capitoli aperti senza un lieto fine, dalla violenza di
genere al mancato rispetto delle leggi sull'interruzione di
gravidanza e all'obiezione di coscienza; dalla disoccupazione al
lavoro precario che di fatto rendono impossibile la maternità”
E’
possibile nel 2016 citare l’obiezione di coscienza come un
capitolo aperto senza lieto fine?
Definirlo un problema che impedisce un corretto sviluppo sociale,
metterlo sullo stesso piano della violenza di genere, della
disoccupazione, del lavoro precario o, addirittura, un elemento che
rende impossibile la maternità?
Solo
i regimi totalitari hanno paura della coscienza delle persone.
Esiste
un coscienza buona che obietta contro quello che non piace al
pensiero dominante ed una coscienza “cattiva” che esprime un
pensiero critico?
La
“non omologazione” non è forse il valore di fondo dell’obiezione
di coscienza?
La
morale va a scatti e cambia a seconda dell’oggetto che riguarda?
Avrei
voluto leggere qualcosa anche da parte del Movimento Nonviolento di
Ferrara per capire se condivide questa visione dell’obiezione di
coscienza o non pensa che la coscienza vada sempre e comunque
rispettata.
In
quanto obiettore di coscienza mi sento discriminato dall’assessora
che dovrebbe tutelarmi e che ai percorsi contro la discriminazione ha
dedicato un’enfasi non secondaria.
Nella
mia personale storia di obiettore di coscienza ho imparato che quando
cominci non ti fermi più: contro il servizio militare, contro l’uso
delle armi, contro le spese militari fino alle scelte quotidiane
nell’educazione dei figli naturali, in affido o in affiancamento.
In
questa sequenza sono sicuro che se fossi medico obietterei contro
l’aborto, se fossi farmacista farei altrettanto, se fossi un
insegnante chiamato ad andare contro la mia coscienza farei lo
stesso.
So
per certo che ogni volta che la coscienza si accende e ti chiede di
andare contro la legge o il pensiero dominante è un’espressione di
libertà che chi comanda non capisce.
Una
libertà che si paga, come l’ha pagata Maurizio Saggioro, che ho
conosciuto personalmente, rifiutandosi di produrre componenti legati
all’industria bellica.
Quelli
che scrivevano le cose che scrive la Felletti erano gli intolleranti
di destra, stavano dalla stessa parte dei cappellani militari che
risposero a Don Milani o, semplicemente, dalla parte di chi non
accetta che la coscienza viene prima di ogni legge.
Probabilmente
la Felletti è la degna erede dei compagni della FGCI che negli anni
della mia obiezione di coscienza al servizio militare mi criticavano
perché l’esercito era un’occasione di sviluppo per il “popolo”
e in quanto tale andava sostenuto.
Anche
oggi non è raro che la militanza politico-ideologica impedisca di
accogliere la carica di libertà di pensiero che è insita
nell’obiezione di coscienza.
Sento
il dovere morale (potrei dire “di coscienza”) di divulgare questi
appunti che avrei tenuto per me se non avessi letto
dell’interpellanza di Ilaria Baraldi sui possibili farmacisti
obiettori.
L’attacco
alla libertà di coscienza assume nuovi connotati: oltre alla
Felletti anche la Baraldi la pensa come il proconsole Dione che ha fatto giustiziare Massimiliano di Tebessa, primo obiettore che non
rispettava la legge.
Parte
la caccia al farmacista obiettore: spero venga trovato e punito sulla
pubblica piazza rendendo evidente chi crede nella libertà e chi ha
paura della coscienza delle persone.
Poi
aspetteremo la prossima categoria di obiettori da perseguitare, in
ossequio all’intollerante pensiero liberticida che ci circonda con
la finta espressione di chi tenta di accreditarsi come difensore dei
diritti.
Patrizio
Fergnani (obiettore di coscienza)
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