22 dicembre 2016

Noticina fra attesa e speranza: 21 dicembre (il viaggio, parte seconda)

Grazie al nostro amico taxista abbiamo potuto verificare i biglietti e caricare i bagagli appena il nostro Bus ha iniziato a far salire le persone alle 5,30. Pullman abbastanza confortevole con noi sei “mzungu” nelle prime file. Il motore viene acceso subito anche se la partenza è prevista alle 6,30: siamo nel mezzo  del formicaio della stazione dei bus di Dar Es Salaam, dove non si capisce da che parte si possa uscire dato che ogni autobus è chiuso da ogni lato da un altro mezzo analogo.
Varrebbe la pena provare a dormire se non fosse che ogni due minuti sale qualcuno per prendere posto insieme ad uno della Ditta che raccoglie i soldi del biglietto e scarabocchia la ricevuta.
Appena gli occhi cedono arriva a bordo altra gente che cerca di vendere qualcosa per sopportare il peso del viaggio: dalle cuffie per smartphone all’acqua, dalle fette di pane ai giornali si può trovare di tutto comodamente consegnato in mano tua (altroché Amazon…).


Fino alle 7,40 il motore rimane acceso ma non ci si muove, poi finalmente si parte e vengono percorsi i primi 50 metri della mega colonna in cui tutti i bus si dirigono verso l’unica uscita.  Siamo nel brano evangelico della “porta stretta” e i nomi di alcuni pullman (ad esempio  “Power of god” o il nostro che si chiama “Upendo” che si traduce “amore”) ne sono la conferma.
Dar a quell’ora è caotica quindi il ritardo è solo destinato ad aumentare.
Per fortuna la colonna sonora dei video sparati sul monitor del mezzo allietano il viaggio; “finalmente musica!” penso nell’illusione di ascoltare qualcosa di tipico che mi aiuti ad avvicinarmi alla cultura locale. Peccato: la musica è la stessa bassamente commerciale che puoi sentire in qualsiasi  altra parte del mondo, una miscela tra Hip Hop e Rap melodico semplicemente cantata in Swahili, senza parlare dei balletti sempre uguali in cui la naturale eleganza del ballo tribale africano ha ceduto agli stereotipi americani.
Benedetta globalizzazione che ci mette a nostro agio offrendoci ovunque un universo sonoro ormai omologato. Anche la musica commerciale, come la Coca Cola, la  trovi uguale in tutto il mondo.
Per fortuna so che in questi giorni potrò incontrare gente non ancora contaminata del tutto: spero che il mio cammino qui e altrove mi offrirà ancora spazi di autenticità.


Nel lungo viaggio abbiamo attraversato il Parco di Mikumi: rigidi limiti di velocità obbligano al rispetto per la natura che si è trovata, suo malgrado, attraversata dalla più importante strada della Tanzania. Così ho potuto vedere antilopi, facoceri, giraffe, scimmie (queste ci hanno  costretto a fermarci per far passare la loro famigliola).
Dopo, fuori dal parco, ho visto in distanza un altro animale attraversare la strada da solo, si trattava di un cane: il mio stupore mi ha fatto riflettere sul fatto che da anni non vedo più in giro cani da soli. Sarà un segno del progresso dell’umanità?


La strada, poi, ci ha regalato due incidenti che hanno fatto aumentare il ritardo obbligandoci a lunghe soste da sopportare con pazienza. Sulle montagne tra Morogoro e Iringa non esistono strade alternative e se vecchi camion sbandano a forte velocità si aspetta pazientemente che la coda si smaltisca.
La compostezza della gente (noi con loro) che non imprecava né chiamava altri sul cellulare ma, semplicemente, aspettava mi ha fatto tornare in mente un proverbio tanzaniano che mio cognato Lucio cita spesso riferito ai bianchi “Voi avete l’orologio, noi abbiamo il tempo”.

Noi il tempo lo abbiamo avuto: seduti sul pullman alle 5,30, partiti alle 7,40 da Dar siamo arrivati a Iringa alle 20,10. Alla fine è stato più lungo il viaggio in pullman di quello in aereo, ma Andrea era lì ad aspettarci. Dalle 16 fino al nostro arrivo, in assenza di notizie che dal pullman non riuscivamo ad inviargli, ha aspettato anche lui, investendo il tempo senza pensare all’orologio: anche questa è famiglia, anche questa è una noticina di speranza da coltivare.



2 commenti:

Marceĺlo ha detto...

E con questo racconto la noticina si fa romanzo. La parte più bella per fortuna esiste davvero ed è la vostra famiglia riunita. Grazie Patrizio

Unknown ha detto...

Io leggo tutto d'un fiato e gioisco al pensiero che siete tutti riuniti. Grazie Patrizio!