Il mio
profe di musica delle medie (1969 – 1972) ha qualche responsabilità sulla mia
visione della musica.
Suonavamo
tutti insieme lo scacciapensieri invece
del flauto dolce e l’effetto era veramente suggestivo, soprattutto quando per
Natale ci esibivamo in Jingle Bells. A ripensarci era già un primo accenno di
contaminazione culturale: la più americana delle musiche natalizie eseguite col
più siciliano degli strumenti (Frank Sinatra,
se lo avesse saputo, sarebbe stato contento di noi).
Poi ci
faceva disegnare per provare a mettere
in forma grafica le sensazioni che ci comunicava la musica: anche qui un
livello di creatività da vero precursore.
Lo
strumento più ambito era il vibrafono portatile che, affidato a uno studente,
lo trasformava in un solista nel “mi mi mi…” di Jingle Bells.
Non
era nemmeno due ottave, si poteva trasportare senza problemi e infilare nella
cartella: ogni tanto qualcuno di noi
poteva portarlo a casa e prepararsi per la lezione della settimana dopo.
Quando
è toccato a me, in seconda, ho composto la mia prima canzone: una semplice
scala ascendente con un testo molto impegnativo “Tu lo sai che ti do quel
che ho, forse più, ma per te non basta mai…e allora? Cosa fai? Cosa Vuoi? Ma il
mondo che tu vuoi non esiste, credi a me” me la ricordo come se fosse ieri
e potrei ricantarla in qualsiasi momento.
Questo
imminente Natale africano si colora un po’ di nostalgia e la memoria si fa
strada per il presente. Quella stessa musica,
composta 45 anni fa, la registrerò mettendola nella playlist da far
andare con la funzione Random durante il volo da Istanbul a Dar Es Salaam:
chissà se verrà proposta in mezzo agli oltre trecento brani che riempiono la
memoria esterna del mio smartphone?
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