10 gennaio 2017

Nota impegnativa: da una canzone al rapporto fra mezzi e fini (senza montarsi la testa)

“Ho preso la chitarra” e mi è venuto, qui sotto il portico della Nyumba Ali, di suonare “Quanto vale un uomo” dei Gatti di Vicolo Miracoli. Come al solito non voglio fare pubblicità: chi la conosce sa di cosa parlo, chi non ne ha mai sentito parlare potrà (se vorrà) trovare informazioni sul web.
Con i principi di uguaglianza sono caricate le bombe dei mortai”  mi sembra una frase senza tempo. L’idea è chiara: sui principi non si tratta e non possono, anche se percepiti come buoni, essere contraddetti dagli strumenti usati; producono esattamente il proprio contrario. Lo dice molto meglio la frase “i mezzi rovinano il fine” che sicuramente ha detto qualcuno (se fossi un produttore di bufale la attribuirei a Gandhi o a Papa Francesco).
Siamo nel campo delle opinioni, delle riflessioni personali di un uomo quasi anziano catapultato dalle sponde del Po a quelle del Ruaha con la fortuna di potersi fermare qualche istante a scrivere per rispettare un impegno preso con se stesso e con qualche amica e amico. (Frase vera ma un po’ruffiana, il mio editore me la farebbe cancellare).
La mia sensaziine è che a volte anche dietro gli aiuti ai “paesi in via di sviluppo” si nascondono obiettivi che nulla hanno a che fare con la promozione dell’economia, della cultura, del rispetto della dignità delle persone. Come si fanno guerre con l’alibi di espandere i diritti, altrettanto si fa cooperazione internazionale per scaricare su altri i propri problemi, alla ricerca comunque di una qualche forma di tornaconto. Dallo sfruttamento vero e proprio alla ricerca spasmodica (il più delle volte insoddisfatta) di una auto realizzazione mai trovata a casa propria lo spazio è ampio e la contraddizione nei fatti dei principi sbandierati si può cogliere con diverso spessore di impatto negativo.
In questa parte dell’Africa si sta provando a reagire e la sfida è ora quella rappresentata dallo slogan vincente “Hapa Kazi Tu” (“Qua solo lavoro”) del nuovo presidente Magufuli eletto nell’ottobre 2015.
Per farcela da soli bisogna superare inefficienze e corruzioni: è così che Magufuli si presenta al lavoro puntuale ogni mattina e nei primi giorni ha licenziato centinaia di dipendenti assenti dal posto di lavoro nei vari ministeri, compresi i massimi dirigenti (fra cui il direttore del porto di Dar, probabilmente la più grande infrastruttura di tutta la Tanzania).
Inoltre ha iniziato a controllare gli stranieri presenti nel suo paese verificando i progetti per cui stanno lavorando e l’interesse e il beneficio che la Tanzania ne può ricevere.
Il tentativo è interessante, va seguito per cogliere se si inserisce nel solco dei nazionalismi populisti che sembrano prevalere in varie parti del mondo o se rappresenta un’attualizzazione del sogno di Nyerere che con l’idea dell'Ujamaa  (famiglia, comunità allargata, villaggio, nazione) ha promosso un modello di stato non allineato e pacifico che, fra alti e bassi, ha portato ad una situazione attuale critica ma ricca di opportunità.
Nel prossimo fine settimana il presidente dovrebbe essere a Iringa per inaugurare un nuovo reparto dell’ospedale governativo. Negli stessi giorni arriverà il vescovo di Bologna Matteo Zuppi (preannunciato alla Nyumba Ali il 20 gennaio). Entrambi vengono a riempire il vuoto che lascio io che riparto il 13.
La foto di oggi, scattata al museo di Bagamoyo, ritrae Nyerere in bicicletta, un mezzo che accomuna me e lui: un mezzo (secondo noi due) compatibile con molti dei fini più positivi da perseguire.


3 commenti:

Marceĺlo ha detto...

So che suona strano. Ma per non usate mezzi sbagliati, quasi conviene non avere fini. Meglio concentrarsi sull'essere giorno dopo giorno coerenti con quello in cui crede senza pensare al fine ultimo...che se verrà verrà secondo la volontà di....

Marceĺlo ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Patrizio Fergnani ha detto...

Grazie Marcello: la tua riflessione rimane attuale anche a distanza di quasi 4 anni!