5 SVANTAGGI - 5 VANTAGGI
Ageni ci ha raccontato che una
volta alla settimana a scuola viene proposto il “dibattito” in cui uno
studente, scelto prima, propone un argomento al confronto in classe.
Per questo si usa uno schema
rigido in cui vanno illustrati sempre 5 vantaggi e 5 svantaggi del tema scelto.
Una tecnica interessante che
obbliga a valutare diversi punti di vista già all’origine: un sistema che molti
dei nostri “grandi pensatori” potrebbero adottare prevenendo obiezioni che
invece non vengono quasi mai considerate.
Detto il positivo rimane
l’evidente degenerazione. Innanzitutto gli argomenti, col passare del tempo,
tendono a essere sempre meno interessanti così il rischio di finire bastonati
per temi non idonei aumenta in maniera esponenziale.
A tavola spesso abbiamo proposto
e discusso temi con questa tecnica. Il più coinvolgente, data la situazione che
ci stava affliggendo, è stato“5 vantaggi e 5 svantaggi della diarrea” con una
classificazione completa e inattaccabile (che comunque vi risparmio, salvo non
arrivino richieste esplicite).
Al termine dei nostri giorni qui,
insieme a Nicola e Elena abbiamo iniziato a scrivere “5 vantaggi e 5 svantaggi del nostro viaggio in Tanzania”.
Ecco cosa è venuto fuori:
5 SVANTAGGI
1. tutte le medicine che devi prendere
prima e durante il viaggio
2. avere avuto tutti un po’ di
diarrea, mal di stomaco e mal di testa
3. non conoscere abbastanza bene
la lingua
4. non riuscire a guidare la
macchina
5. sentire la nostalgia dei
fratelli /figli
5 VANTAGGI
1. volare in aereo con cibo, film
e giochi
2. essere sempre portati in giro
per strade sconnesse senza dover guidare
3. mangiare frutta buonissima
appena raccolta
4. cominciare a conoscere un
mondo nuovo
5. incontrare tante persone
diverse, tutte interessanti
Qui ci si accorge che lo schema
rigido taglia sempre fuori qualcosa…forse il dibattito successivo potrebbe aiutare
a integrare.
Io aggiungo solo una sensazione
nuova che mi sembra svantaggio/vantaggio insieme: essere quelli diversi, la
minoranza, quelli con la pelle strana…quelli da indicare col dito per strada,
da cercare di imbrogliare o da cui difendersi…forse i discendenti di chi ti ha
rubato un pezzo di storia.
Qui, dove non è ancora
obbligatoria l’ipocrisia del linguaggio, senza tanti giri di parole te lo urlano
per strada “Mzungu!”, e se anche credi sia un complimento in realtà è
abbastanza dispregiativo: ha la stessa connotazione negativa che ha “negro”
rispetto a “nero”.
Confesso che questa sincerità non
mi dispiace, ci fa stare al nostro posto senza il falso buonismo di dichiararci
tutti uguali quando invece partiamo da posizioni diverse (e, comunque sia, la
nostra è quella più avvantaggiata).
La diversità, sia chiaro, è un
valore…a patto che si rispetti la dignità di ogni singola persona che non
dipende dalle condizioni di vita. Quello che comincia a non piacermi è il far
finta di niente per cui tutto diventa piatto, senza pieghe e contrasti. In
sostanza preferisco sentirmi gridare dietro “biancastro, pallido, anche un po’
stupido!” che sentirmi dire che sono “diversamente nero”.
Così i miei amici africani sono
“neri” e non “di colore”... che non si sa nemmeno quale sia.
INFINE...
Confermo l’impressione avuta la
prima volta: l’Africa non serve a rendere migliori le persone. Credo,
piuttosto, che esista una specie di effetto moltiplicatore che esalta le
capacità positive e, nello stesso tempo, rallenta per un po’la manifestazione
dei difetti più profondi.
Prima o poi, però, questi ultimi
esplodono con una forza inattesa. Anche qui, come probabilmente nel resto del
mondo, l’importante è avere un saldo positivo in cui il dono prevale sul
guadagno, il regalo sull’accaparramento.
Nel mio secondo viaggio africano
ho provato a guardarmi di più attorno, meno abbagliato dalle tante novità. Ho
potuto lasciarmi perdere nel paesaggio naturale, in quello su cui l’uomo ha
inciso ancora poco. “C’è tanta Tanzania qui intorno” ripetevo ogni tanto e
anche adesso che l’aereo del ritorno sorvola le coste frastagliate della
Croazia mi rendo conto di che ricchezza e bellezza sia il nostro pianeta.
Constatazioni ovvie, certo, ma
proprio per questo da non dare per scontate finendo per trascurarle.
Questo ultimo giorno mi ha
proposto le luci di Dar Es Salaam alle 3.45 di mattina: luci buttate sulla
terra come stelle o brillantini del presepe, senza un ordine preciso a
disegnare una città che cresce senza disegno.
Poi le architetture di Istanbul
nel blitz durante lo scalo, tra moschee chiuse per la preghiera e resti romani
inaccessibili per mancanza di tempo: anche qui una trama che unisce immagini in
cui ho intuito più futuro che passato.
Infine la laguna veneta in cui
l’acqua misteriosamente si solidifica nella pista di atterraggio del nostro
ultimo aereo, le cui ali sembrano accarezzare in lontananza il campanile di San
Marco.
Ho avuto il privilegio di vivere
anche giornate come questa, con parte della mia famiglia, legato strettamente a
quel pezzo rimasto a Ferrara (o in viaggio per altre avventure) e a quello (sempre
più importante) che si trova ad Iringa.
Anche le ali dell’aereo servono a
fare famiglia e a dare una rotta concreta ai sogni.
Le stesse ali porteranno Bruna e
Ageni qui da noi il 13 agosto…è già domani: un nuovo frammento da scrivere
insieme.