Conforta sentirsi dire che siamo "figli della luce": confermo di incontrare tante "lampade accese" che illuminano nuovi pezzi di strada. Questi lampioni viventi spesso non sono nemmeno credenti o frequentatori della Chiesa.
Sul settimanale La Voce di Ferrara-Comacchio parlo di questo e accenno all'esperienza nella mensa di Viale K e del corso di chitarra in carcere: forse la luce viene nuova da chi ha toccato con mano la durezza delle tenebre. Si può leggere qui di seguito.
“Infatti
siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo
alla notte, né alle tenebre. ”
Siamo
ormai alla fine dell’anno liturgico: in vista del racconto dei
tempi bui che precedono la glorificazione definitiva di Gesù, San
Paolo lancia ai Tessalonicesi (ed a noi) segnali di conforto.
Ci
dice chiaro che possiamo guardare con fiducia a quello che succede.
Non è cosa da poco, anzi: è esattamente quello di cui ho bisogno in
questo periodo.
Se vogliamo usarli, abbiamo tutti gli strumenti
per leggere in profondità i segni della nostra vita: non siamo nelle
tenebre ma siamo figli della luce e del giorno.
Ricerco negli
altri questa luminosità e mi accorgo che conosco tante “lampade
accese” che, quando le incontro, illuminano nuovi pezzi di strada.
Questi lampioni viventi
spesso non sono
nemmeno credenti o frequentatori della Chiesa e questo conferma ciò
che Gesù per primo ha segnalato: non basta l’iscrizione al club
della salvezza per avere la garanzia del risultato finale.
Rivedo
i volti di persone a cui porgo il vassoio quando sono a distribuire
la cena alla mensa di Viale K, mi risuonano dentro le brevi battute
che riesco a scambiare con gli allievi del corso di chitarra che,
grazie e insieme alla mia amica Chiara, sto facendo in carcere:
forse la luce viene nuova da chi ha toccato con mano la durezza delle
tenebre.
Riparto da qui, dalla consapevolezza che la luce,
persa e ritrovata, ha un’intensità speciale che rafforza chi la sa
cercare con umiltà e pazienza.
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