Come se fossi un cittadino di Tessalonica ricevo le provocazioni scritte da Paolo, Silvano e Timòteo: mi sento a disagio. La strada che intravedo è coltivare le relazioni che mi legano a
persone significative che mi aiutano a essere sempre in ricerca nella
realtà in cui vivo.
Un minuto di lettura del Foglietto in tasca n.50 su La Voce di Ferrara-Comacchio oppure qui di seguito.
"Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere e tenendo continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro."
Sul foglietto numero 50 San Paolo continua a provocarmi, soprattutto con le definizioni che usa per descrivere la vita dei fedeli di Tessalonica: fede operosa, carità faticosa, speranza ferma. Si ribalta il mio modo di vivere in cui vorrei che la fede fosse ferma, la carità operosa, mentre la speranza mi risulta faticosa. Sembrano piccoli dettagli di forma ma in realtà si tratta di segnali che indicano una direzione significativa. Soprattutto vivere la fede operosa toglie il velo a ogni visione intimistica del rapporto con Dio: sembra quasi che Paolo citi la lettera di Giacomo "Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa"
Se davvero avessi una fede operosa probabilmente la speranza sarebbe più ferma e sicuramente la carità, che richiede fatica, si potrebbe mettere davvero al servizio della crescita della dignità umana e comunitaria.
Invece vivo una fede "di testa", col freno a mano tirato, alla ricerca di una consapevolezza che non sfocia nell'abbandono fra le braccia di un Dio.
La strada che intravedo è coltivare le relazioni che mi legano a persone significative che mi aiutano a essere sempre in ricerca nella realtà in cui vivo. Anche Paolo scriveva ad una comunità e lo faceva insieme a Silvano e Timòteo: chi sono io per voler fare da solo?
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