Questa settimana l'ordine alfabetico si interrompe per un "recupero": quando toccava alla lettera D è stata sostituita dalla L per parlare di Laura Vincenzi. Ora viene recuperata la D, addirittura con un richiamo al "sommo poeta".
In realtà si tratta, più banalmente, della più tradizionale esperienza dell'esame di maturità con una riflessione sulla paternità.
Grazie a chi avrà la pazienza di leggere: riporto il testo pubblicato sulla La Voce di Ferrara-Comacchio
Questa settimana recupero la D con Dante in persona, “the man of the year” a 700 anni dalla morte.
E’ un ricordo personale, all’orale della maturità. Dopo aver stupito la commissione con una splendida relazione in inglese su William Faulkner mi è stato chiesto di commentare l’inizio del canto XVII del Paradiso. E’ famoso dalle nostre parti perché cita Fetonte, precipitato nel Po a Francolino. La prima terzina si chiude col verso “quei ch’ancor fa li padri ai figli scarsi”. Non ero pronto: ho tentato di spiegare che Dante intendeva che i padri non volevano riconoscere i figli, rinunciando facilmente al proprio ruolo per fare altro. Con molta gentilezza il profe mi ha spiegato che, invece, il senso era che i padri diventarono più guardinghi nel dare e cose ai figli. Tutto, comunque, è finito bene e da quel momento ho potuto definirmi “maturo”.
Negli anni ho fatto (e sto facendo tuttora) diverse esperienze come padre affidatario ed ho riscoperto il senso di quel malinteso “dantesco”. Confermo che c’è bisogno di padri presenti, attenti, affettuosi, teneri e tenaci: tutt’altro che scarsi.
Dante aveva ragione: bisogna amare e seguire i figli per non vederli precipitare.
Avevo ragione anch’io: è necessario riconoscere i figli, accoglierli, accompagnarli: non rinunciare ad essere padri. Ce lo insegna anche Gesù che parla di sé definendosi un pastore amato dal Padre: un modello interessante, da approfondire per metterci in gioco negli infiniti modi in cui possiamo vivere la nostra paternità.
La canzone di questa settimana: “Ragazzo Padre” di Enzo Jannacci
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