9 luglio 2018

Qualcosa su mio padre (2 di 3)

Quando ci siamo trovati di fronte alla scelta di cosa scrivere sul necrologio di Carlo (uscito sui quotidiani locali domenica 10 giugno) Bruna ed io avevamo appena ricevuto un messaggio da una amica, capace di cogliere quello che avremmo voluto dire in quel momento.
Da lì viene la frase "Corri tranquillo nei prati del cielo, incontro alla tua Stamura nella pace del Signore."

Poi c'è stata la scelta dell'annuncio vero e proprio. L'impiegato di turno propone alcune formule già pronte: le più usate sono "E' venuto a mancare" o "Piangono la scomparsa"... mancare? scomparsa? Il nostro Carlino è presente ora come sempre. Abbiamo preferito scrivere "E' morto serenamente": la morte è parte della vita (anzi, alcuni sostengono che sia l'unica realtà certa della vita), un dato naturale il cui significato appartiene alla sfera più intima di ciascuno.  

Ognuno di noi si è preparato al funerale a modo suo e, alla fine, sia io sia mia sorella abbiamo sentito il bisogno di scrivere un pensiero per nostro padre.
La mattina del l'11 giugno (il giorno del funerale) ce li siamo scambiati e abbiamo raggiunto la certezza che nessuno di noi sarebbe stato capace di leggerli a voce alta.

Ci è stato chiesto di mettere a disposizione i testi: ecco quello di Bruna (alias "Tecla") letto in chiesa da Irene ed Elena.

"Eri un bambino vivace, marinavi la scuola, facevi Tarzan tra gli ippocastani, eri un tiratore scelto di fionda: la nonna diceva che eri un birichino  che teneva allegra tutta la famiglia.
Ci ha pensato la guerra a farti diventare adulto, sei stato mandato a “rompere le reni alla Grecia”: avevi  19 anni  e non ti era nemmeno spuntata la barba.
Sei stato krieggefangen (prigioniero di guerra), parola che non hai mai dimenticato.
Sei scappato dal campo di prigionia di Monaco, hai attraversato il Brennero e, sempre a piedi, sei arrivato in Italia, il giorno dopo la fine della guerra.
Qualcuno ti aveva dato dei vestiti per nascondere la divisa da prigioniero e quei vestiti, neri, per poco non ti avevano fatto linciare; ma avevi gli occhi buoni e, sotto i vestiti neri, la divisa da prigioniero e la ferocia vendicatrice si è trasformata in doni e abbracci.

Ritrovata tutta la tua famiglia, le tue gambe non hanno voluto  più camminare e sei rimasto a letto per quattro mesi, paralizzato.
Le tue gambe hanno, poi, deciso di riprendere il proprio lavoro e da allora le ha fermate solo la Morte.

Ci sono stati la povertà del dopoguerra, il matrimonio, la paternità, i due lavori  da fotografo: lavoravi tanto e dicevi alla nonna che andavi al bar a giocare a biliardo.

Nel Natale del 1954 ti aggiravi in piazza Travaglio alla ricerca di un albero da addobbare con le candeline vere, le palle di vetro e i fili d’angelo argentati, ma i soldi non bastavano per comprare l’albero più economico del mercato.
Hai aspettato che i venditori se ne andassero, hai raccolto da terra i rami caduti e sei corso  in bicicletta a casa.
Hai preso un manico di scopa e, con un trivellino a mano, hai piantato nel bastone tutti i rami raccolti per terra.
Hai lavorato tutta la notte e la mattina hai guardato, felice, gli occhi pieni di gioia e di stupore di tua figlia di fronte all’albero più bello che avesse mai visto.

Sei stato un papà buono, capace di fare qualunque cosa per vedere gli occhi felici dei tuoi figli.
La tua Tecla, che tutti gli altri chiamano Bruna."

Il testo si può trovare anche qui Eri un bambino vivace

La foto di oggi: Carlo e Viki, nonno e nipote, 5 anni fa






1 commento:

Marceĺlo ha detto...

Vorrei tanto saper costruire anche io un albero di natale così. Anzi no, vorrei saper educare i miei figli a vedere la bellezza in un albero così.