Quale gioia, quando mi dissero: «Andremo alla casa del Signore!».
Mi
piace quando alla messa domenicale c'è un salmo che conosco a
memoria perché l'ho già imparato come un normale canto.
Questa
domenica è così: mi è capitato centinaia di volte di cantare
"Quale gioia mi dissero: andremo alla-a-casa del Si-i-gnore".
Spero che il gruppo liturgico della mia parrocchia lo proponga:
l'assemblea darà il meglio di sé seguendo il testo proiettato sul
muro. Senza foglietti fra le mani è, come sempre, semplice e
spontaneo accompagnare col battito di mani il ritmo proposto dalle
ragazze che, con dedizione e passione, suonano chitarre e cembalo.
Secondo me è un modo per vivere oggi quello che succedeva coi Salmi
ai tempi di Davide.
C'è
bisogno di gioia nelle nostre celebrazioni e la musica può aiutare:
non si tratta di esibizioni o di legittimare la confusione ma di
sperimentare e promuovere forme di partecipazione piena.
Ricordo
le messe nella missione del villaggio di Mgongo in Tanzania: la gioia
della fisicità di canti e balli che accompagnano il rito è una
catechesi coinvolgente da cui è naturale farsi coinvolgere.
I bambini (anche secondo il salmo 8) sono i testimoni naturali della volontà di partecipare col corpo e con la voce: meritano di essere aiutati a sprigionare le loro energie e non compressi o mal sopportati.
Anche l'esperienza che ho vissuto recentemente con gli adultissimi di Azione Cattolica conferma che a tutte le età è possibile usare musica e corpo per comunicare la gioia dell'incontro col Signore e fra di noi.
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